ROMA (WSI) – Questa settimana si decide sui pagamenti della pubblica amministrazione, col varo del primo decreto che sblocca 40 miliardi di pagamenti arretrati. Ma all’esame del governo c’è anche il nodo dell’aumento Iva di luglio e, altra urgenza, l’introduzione della Tares.
Prepariamoci al peggio. Quale che sia la scelta (rinvio o non rinvio) dovremo tirare fuori «altri» due miliardi per l’immondizia.
La sostanza è questa. Il consiglio dei ministri di mercoledì scorso, dove il provvedimento è arrivato «fuori sacco» non se l’è sentita di rinviare di nuovo la Tares con l’idea che potesse essere il nuovo governo ad occuparsene. Ora che i tempi si allungano la questione torna di bruciante attualità e ci si aspetta che il prossimo cdm se ne occupi.
La Tares – per chi si fosse perso questa nuova sigla – è la nuova tassa in cui confluiranno tutti i tributi relativi allo smaltimento dei rifiuti, una nuova versione di quella che in alcuni comuni si chiamava Tarsu e in altri Tia (nella duplice edizione Tia 1 e Tia 2): da una parte era tassa, altrove tariffa.
Un pastrocchio. Il decreto dell’ottobre 2011 sul federalismo fiscale ha pensato bene di omologare questo prelievo, ribattezzandolo Tares ma, dato che c’era, ha anche fornito le modalità di calcolo – metri quadri, quantità di rifiuti, tipo di rifiuto e relative modalità di smaltimento – e, per quel che ci riguarda, questo sapiente maquillage si è risolto in un aumento che si aggira sul 30%.
La Tares dovrebbe entrare in vigore il prossimo primo luglio ma un coro di soggetti sociali ha invocato la clemenza di un rinvio. Il governo dimissionario, però, non se l’è sentita – almeno questo si dice – di prendere una decisone su un eventuale posticipo, essendo, per l’appunto, in carica solo per la normale amministrazione.
Fin tanto che il Quirinale non lo ha reinvestito nei giorni scorsi di una sua pienezza di azione, considerando che lo stallo politico non si sa quanto potrebbe durare, e quindi una parola definitiva sulla Tares non sembra ulteriormente rinviabile.
La tassa non sembra riducibile, ma potrebbe essere dilazionata nella sua applicazione: non più il primo luglio ma il primo gennaio 2014. La scorsa settimana anche la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha scritto una lettera a Mario Monti per sottoporgli una simile eventualità.
Sia Boldrini che Confcommercio che altri soggetti sociali (i sindacati, per esempio), fanno presente al governo che la batosta della Tares a inizio estate, si andrebbe a sommare ad altri balzelli tutt’altro che irrilevanti, come la prima tranche dell’Imu, le addizionali dell’Irpef, per non dire della madre di tutte le stangate, e cioè l’ennesimo aggravio dell’Iva di un punto, che porterebbe il prelievo sugli acquisti dal 22 al 23%.
Una misura – quest’ultima – che secondo Confcommercio porterebbe la dinamica dei consumi dalla riduzione all’agonia, sortendo un esito paradossale per cui l’aliquota aumenta ma, determinando una contrazione dei consumi, il gettito diminuisce. Si sta provando a congelare questo aumento, ma ogni auspicio è prematuro fintanto che il Governo non presenterà il Documento di Economia e Finanza nel quale indicherà gli andamenti macro e quindi la possibile sostenibilità di un intervento riduttivo.
Tutto questo è sul tavolo del governo. E se sull’Iva nessuno si è ancora pronunciato, sulla Tares è possibile che si possa andare ad un o slittamento. Ma di quanto? I comuni, attraverso l’Anci, si fanno carico della sofferenza dei contribuenti ma, d’altra parte, però, hanno le casse a secco e dire no a questo flusso di denaro sembra impossibile. Il gettito atteso dalla Tarsu è, infatti, di 8 miliardi, ben due in più delle vecchie tasse sui rifiuti. Ma se l’aumento atteso per le famiglie oscilla, appunto, intorno al 30%, per gli esercizi commerciali e di ristorazione la batosta potrebbe essere ben maggiore, in quanto la nuova tassa distingue tra rifiuti e rifiuti, in base alle modalità di raccolta e smaltimento, per cui – è sempre Confcommercio a dirlo – i negozi in genere conoscerebbero un aumento del 290%, che diventerebbe del 400% per ristoranti, bar e pizzerie, e di ben il 600% per i negozi di frutta e verdura.
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