ROMA (WSI) – La “banca di Dio” alza per la prima volta in 125 anni il velo sui suoi (segretissimi) conti e festeggia l’operazione trasparenza voluta da Papa Francesco girando – grazie a spread e Btp – un bel dividendo di 54,7 milioni alle casse del Vaticano. L’istituto per le Opere di religione (Ior), finora il più misterioso e discusso istituto di credito della penisola, è da ieri mattina un libro aperto di 100 pagine.
Quelle in cui racconta, con tanto di revisione della Kpmg e con la cura di una società quotata, lo stato di salute delle sue finanze. Ottimo, come ha sottolineato con evidente soddisfazione il presidente Ernst Von Freyberg: i profitti sono stati pari a 86,6 milioni, il quadruplo dell’anno precedente, malgrado l’addio ai derivati – il prodotto speculativo preferito dagli squali di Wall Street – sia costato un “buco” di 11,6 milioni alla Santa Sede.
Più che l’aiuto divino, a far decollare i profitti sono stati i tanto bistrattati Btp italiani: l’acquisto e la vendita di titoli di Stato – attività che in un 2011 da brividi per lo spread aveva regalato alle mura Leonine perdite per 38 milioni – ha garantito l’anno scorso 51 milioni di utili.
La glasnost vaticana consente per la prima volta di capire chi sono i clienti dello Ior e dove i (prudentissimi) gestori dei quattrini della Chiesa – scottati forse dai brutti ricordi dell’era Marcinkus & C. e di quelli più freschi di monsignor Scarano – investono i loro soldi. Nell’unica filiale della banca, chiusa nel torrione di Niccolò V, sono custoditi 18.900 conti correnti, 2.100 in meno di fine 2011.
Una falcidia figlia della chiusura delle posizione inattive ma anche della decisione di avviare un check-up approfondito, affidato alla Promontory Financial, per scoprire i conti che non rispondono agli standard etici del Vaticano. Il giro di vite è una mossa obbligatoria dopo il cartellino giallo alzato da Moneyval, il comitato anti-riciclaggio del Consiglio d’Europa, che – pur approvando il primo step dell’operazione trasparenza – ha chiesto allo Ior più severità nella segnalazione di operazioni sospette.
L’identikit dei clienti è invece una foto di famiglia della struttura ecclesiastica: l’istituto gestisce 4,9 miliardi di euro. Il 50% dei correntisti sono congregazioni e ordini, il 15% nunziature e uffici della Santa Sede, il 13% cardinali, vescovi e preti e il 9% diocesi. I loro soldi sono investiti con criteri super-conservativi: nel portafoglio ci sono 1,2 miliardi di depositi, 3,3 di obbligazioni, 102 milioni di euro in azioni (Carige e Cattolica, costate lo scorso anno due milioni di passivo), 194 milioni di fondi affidati a gestioni esterne e 41 milioni in oro, monete e medaglie. Il capitolo derivati è stato chiuso invece lo scorso anno, liquidando (malgrado la perdita) 120 milioni di opzioni sui cambi e 1,8 milioni di forward exchange swap.
La banca di Dio, emerge dal bilancio, vede rosa nel futuro dell’Italia se è vero che nel 2012 ha aumentato di 300 milioni a 1,17 miliardi i suoi capitali impegnati su titoli tricolori. Seguono l’Olanda (855 milioni), la Spagna (589), la Germania (282) e Canada e usa con 488 milioni. L’esposizione ai Piigs, paesi cattolici come Roma, Madrid e Lisbona, è di 1,8 miliardi. «I numeri dimostrano che lavoriamo su basi solidissime – ha commentato Von Freyberg – Siamo una piccola istituzione finanziaria ben gestita ed etica che serve l’interesse di chi predica la parola di Dio nel mondo».
In passato, forse, non sempre è stato così. Ma il bilancio online e la rivoluzione di governance imposta da Papa Francesco sono un primo passo importante per fare davvero dello Ior, dopo tante polemiche, una banca normale.
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