E se fosse il mercato immobiliare a rendere insostenibili le economie dei Paesi mediterranei nella difficile “partita” della moneta unica? E’ una tesi molto ambiziosa quella dell’architetto Francesco Maria Esposito, che ha trattato i temi del suo libro “Edificabilità bene comune” (Cacucci editore) nella cornice del Festival dell’Economia di Trento, lo scorso 3 giugno. In un passaggio-chiave dell’opera si legge:
“La speculazione ha alimentato un ciclico processo-bolla immobiliare che per essere risolto ha innescato un ciclico processo di inflazione dei prezzi, di aumento dei salari, di svalutazione delle monete nazionali; e dopo l’euro changeover, senza più la valvola del cambio, la speculazione immobiliare ha spintonato le economie in recessione”.
Architetto, qual è la relazione fra il mercato immobiliare dei Paesi mediterranei, l’introduzione dell’euro e la crisi economica?
Con una moneta propria, e quindi con la valvola del tasso di cambio, il processo di aumento dei prezzi immobiliari che generava, poi quello di tutti gli altri, comportava la necessità di riconsolidare l’economia, di far aumentare i redditi, i salari. Ciò rendeva più costosi i prodotti italiani e ostacolava le esportazioni, per questo veniva poi svalutata la moneta per riequilibrare la situazione. E’ un ciclo a quattro fasi: aumento dei valori immobiliari, rialzo di tutti gli altri prezzi, aumento dei redditi, svalutazione della moneta. In Germania il mercato immobiliare non funzionava in questo modo, per cui non si attiva lo stesso processo.
Cosa succede con l’arrivo dell’euro?
Con l’euro è avvenuto che una casa che nel 2000 costava circa 250 milioni di lire, nel 2007 è arrivata a valere 450mila euro; ma, allo stesso tempo, chi guadagnava cinque milioni al mese ed era in condizioni agiate, è passato a un reddito di 2500 euro. Con uno stipendio di cinque milioni si aveva un costo immobiliare medio mensile di circa un milione di rata di mutuo, quindi l’incidenza dell’immobile era quasi del 20% sullo stipendio, che scendeva al 15% nel caso dell’affitto. Passati all’euro e aumentato di molto il costo immobiliare a fronte di redditi fermi, si è verificato uno squilibrio fortissimo fra il reddito e il costo abitativo.
E questo squilibrio non può essere ripianato come in passato…
Non potendo più operare svalutazioni, si possono solo rimettere in equilibrio i redditi con i costi delle abitativi. La famiglia che un tempo era ricca con cinque milioni non lo è più con 2500 euro; questa è l’origine della crisi di crescita del nostro Paese, non il debito pubblico. Quando la fascia media della popolazione s’impoverisce, tutta l’economia s’impoverisce. Senza più operare con il tasso di cambio è difficilissimo uscire da questo circolo vizioso.
Le spese abitative quanto pesano ora sul reddito famigliare?
Pesano così tanto che i giovani di oggi non possono andare fuori di casa, non riescono a comprare una nuova casa, non possono farsi una famiglia. Nelle grandi città l’incidenza delle spese abitative sul reddito arriva al 65%, questo significa che non si hanno più soldi per tutto il resto. Da qui arrivano le pressioni recessive. Il problema è particolarmente grave anche perché i parametri europei impediscono forti aumenti nella spesa per il welfare. O troviamo una soluzione oppure l’euro finirà.
Nel suo libro scrive che il problema per il mercato immobiliare dei Paesi mediterranei è originato dall’eccesso di libero mercato nel settore. Di solito questo è visto come una cosa buona, perché se si parla di case non dovrebbe essere così?
Perché è un settore soggetto a scarsità, in tali ambiti il prezzo di libero mercato si discosta facilmente da un equilibrio con i redditi. L’economia è fatta di equilibri, cioè funziona se c’è l’equilibrio fra il prezzo delle cose e i redditi, soprattutto nel caso dei beni primari. Un brillante può anche salire di prezzo di dieci volte: ci interessa poco perché non serve per campare. Ma se parliamo della casa il prezzo deve essere in equilibrio affinché non pesi troppo sui redditi.
Arrivando al punto, cosa manca alle politiche abitative pubbliche italiane rispetto ai modelli nordici che vengono lodati nella sua opera?
Ormai recuperare tutto il gap è impossibile. Nei paesi nordici la quota di abitazioni interessate dal social housing è compresa fra il 25 e il 30% del totale. Per social housing si intendono sia le case popolari sia le case soggette a prezzo convenzionato con i Comuni; quando l’abitazione fa parte di questo mercato regolamentato fa parte del cosiddetto social housing. In Italia la quota è circa del 4%, nel complesso dei Piigs, la media è 2-2,5%. Recuperare richiederebbe la costruzione di milioni di case e non è la soluzione che auspico. Unanorma valida è quella che regolamenterebbe l’aumento degli affitti, “l’equo canone”; poi occorrerebbe dare spazio all’edilizia convenzionata ma con regole molto rigide. La proposta contenuta nel libro propone la costruzione di 480mila abitazioni senza consumo del suolo, utilizzando vecchie aree industriali, a prezzi regolati. Per attuare quest’ultimo piano non è necessario l’intervento economico dello stato, esso si autofinanzia, avrebbe bisogno piuttosto di una visione politica che si liberi del dogma del libero mercato immobiliare.
Per un’analisi più dettagliata delle proposte dell’autore rimandiamo al nostro precedente articolo