Società

“Altro che Imu, va riformato costo lavoro”

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ROMA (WSI) – Mentre i politici stanno perdendo tempo dedicandolo all’Imu, ogni due ore in Italia muoiono tre imprese e dal 2008 abbiamo quasi 50 mila imprenditori under 30 in meno. Per invertire il trend nell’industria manifatturiera italiana, devastata dalla crisi del debito e dalla mancanza di competivita’ generata da globalizzazione e nascita dell’euro, la parola d’ordine e’ riformare il costo del lavoro.

Dal 2008 hanno chiuso 450 mila imprese manifatturiere, molte perche’ hanno deciso di dismettere l’attivita’. Per il settore “gli aspetti piu’ negativi sono il costo del lavoro, il piu’ alto in Europa e l’atavica mancanza di materie prime che ci costringe ad andare all’estero”, secondo l’industriale Paolo Agnelli.

Se nei primi cinque mesi dell’anno 5.334 aziende italiane sono state costrette a chiudere i battenti, non e’ stato soltanto per via del conto economico salato, bensi’ perche’ non hanno potuto riscuotere i crediti dalle Pubblica Amministrazione o dai loro clienti.

Mentre la globalizzazione selvaggia avanzava il governo e’ restato con le mani in mano, agendo da “scarica barile tra sindacati e governo, mettendo tutto il peso sulle imprese”, ha osservato Agnelli, il cui gruppo omonimo occupa circa 310 persone con un fatturato nell’anno 2012 di 110 milioni di euro.

In Europa, poi, all’Italia andrebbe concesso tempo per il rientro di bilancio e andrebbero fatte piu’ concessioni. “Ci vorrebbe piu’ sovranita’ nazionale, ma non abbiamo un governo cosi’ forte da poter alzare la voce”, ha dichiarato il faro del Gruppo Agnelli, leader nel settore dell’estrusione dell’alluminio.

Persino il Fondo Monetario Internazionale ha ammesso gli sbagli commessi con l’imposizione di misure di austerity che hanno strangolato la crescita nei paesi cicala dell’Eurozona. Viviamo nel paradosso secondo il quale la Germania vuole un euro forte, ma il manifatturiero tedesco non puo’ campare senza i consumi italiani. Su questo fronte “il conflitto duplice tra Germania e Italia”, come lo chiama il presidente di CONFIMI, si puo’ risolvere solo con un’Europa diversa, magari a due velocita’. Se Finlandia, Olanda, Germania e altri paesi teutonici creassero una unione a se’ stante, si ristabilirebbe un certo equilibrio monetario e commerciale nel continente.

Per ritardi, scarsa informazione ed eccessivi intrecci burocratici, dei 371 i milioni stanziati per le piccole e medie imprese in difficoltà di Sicilia, Calabria e Campania (210 dell’Ue, 161 delle banche), sono solo 60 quelli utilizzati. Un motivo in piu’ per credere che i 15 miliardi messi a disposizione dalla Banca europea degli investimenti (Bei) per le PMI in Ue non serviranno a nulla in Italia.

DI SEGUITO L’INTERVISTA INTEGRALE

Wall Street Italia: Nel periodo fine 2007-fine 2012, il numero di imprese manifatturiere si è contratto di circa l’8,3%, effetto congiunto di iscrizioni e cessazione. Basterebbe riformare il costo del lavoro per invertire il trend?

Paolo Agnelli: Lo Stato si deve fare avanti: non possiamo ammazzare il nostro tessuto economico, vanno rimandati i tempi di restituzione e fatte concessioni. Oggi ci siamo nell’area euro, non possiamo tornare indietro, ma ci va lasciato il tempo di raggiungere l’obiettivo con piu’ calma. Non possiamo permettere che le aziende straniere vengano a fare acquisti societari qui. Ci vorrebbe piu’ sovranita’ nazionale, ma non abbiamo un governo cosi’ forte da poter alzare la voce.

WSI: Piano del lavoro. Cosa vorrebbe vedere cambiato nella riforma Giovannini? Il governo non ha mantenuto tante delle promesse fatte (assenti staffetta intergenerazionale, reddito minimo garantito, garanzia giovani, riforma dei servizi al lavoro, rilancio dell’apprendistato, piano Expo)

PA: Non ne usciamo con la semplice modifica della riforma lavoro. (Il premier Enrico) Letta ha detto: ‘Imprese non avete piu’ alibi, ora assumete’. Non e’ grazie a questo o quel decreto che si puo’ assumere. Se ho 7.000 euro di bonus, assumo tre giovani? No, assumo se ho lavoro. Occorre lavorare sul costo del lavoro.

WSI: Anche sui giovani disoccupati, l’impressione e’ che sia piuttosto una misura per guadagnare consensi in vista di probabili elezioni anticipate.

PA: Dovremmo assumere giovani e lasciare a casa i 45enni con famiglie? Che dia fastidio la disoccupazione giovanile capisco, ma il fratello maggiore licenziato che non puo’ sfamare la sua famiglia? Le imprese italiane non sono piu’ competitive.

WSI: L’industria manifatturiera è messa in pericolo dal persistente calo della domanda e dai problemi di accesso al credito (nonostante l’aiuto enorme della Bce alle banche). Cosa può fare l’Europa?

PA: Le aziende italiane chiudono perche’ non hanno riscosso i crediti dalle Pubblica Amministrazione o dai loro clienti. Non per il conto economico come. Il problema e’ di chi non ha visto l’apertura alla globalizzazione selvaggia, aziende fornitori non rispettano i diritti dei lavoratori, quelli civili e dell’ambiente, che sono le fondamenta della nostra etica occidentale. In compenso lasciamo entrare prodotti da paesi che non rispettano i nostri parametri. Andrebbe rivista la politica fatta in Europa e in Italia, non con semplici palliativi.

Il credit crunch con il concetto del rating ha trasformato in inaffidabili i gruppi in difficolta’. Stando ai parametri di Basilea III il risultato si affida solo a chi sta bene. Si guarda solo a qualita’ di bilancio e fatturato in un momento di estrema crisi. A chi ha i soldi si prestanto soldi, invece non ci si puo’ fidare dei piccoli gruppi che hanno modesti livelli di capitalizzazione. Ma le banche non dovrebbero dimenticare che sono nate per prestare.

Occorre guardare oltre e giudicare l’imprenditore come uomo e management. Oppure giudicare il valore del marchio e la capacita’ di essere presente sui mercati. I concetti di Basilea III appartengono a un modo di fare banca anglosassone e non al tessuto economico italiano. Le Pmi nel mondo anglosassone ci sono in modo relativo. L’Italia ha accettato quello che veniva dall’estero, come la globalizzazione sfrenata e non si e’ mai imposta.

WSI: Come andrebbe rivista questa politica? Prima delle elezioni in Germania, Merkel non prendera’ misure che possano essere potenzialmente dannose per i contribuenti tedeschi

PA: Deve uscire bene Angela Merkel dalle elezioni, speriamo che una volta finite le elezioni aiuti i sudisti dell’Europa. C’è un duplice conflitto: la Germania non deve subire danni alla suaa economia per via dell’euro, ma noi dobbiamo continuare a comperare i loro prodotti. Si fara’ qualcosa quando la manifattura tedesca si accorgera’ che non mangiamo piu’ noi, non compriamo le loro Volkswagen, Porsche e Mercedes, non cambiamo la camicia perche’ non abbiamo soldi. Cominceranno a muoversi in quel momento.

WSI: Un euro a due velocità con l’uscita dei paesi teutonici non sarebbe forse la soluzione ideale a questo paradosso?

PA: Fare la seconda Europa forse risolverebbe il problema. Come togliere il Nord Europa, compresi olandesi (a cui e’ stato piu’ tempo per centrare gli obiettivi di rientro del bilancio) e finlandesi. Ma non so se il loro interesse sia uscire dalll’area euro.

Dopo aver capito che il sogno europeo e’ svanito, abbiamo visto uscire tutti gli egoismi nazionali. Quel sogno apparteneva ai nostri antenati politici. Avere un parlamento unico in Europa e’ una chimera. Abbiamo un euro ognuno a un tasso diverso. Il ruolo della Banca centrale dovrebbe essere quello dell’equilibrio monetario. Bisogna fare in modo che la medicina non uccida il malato (che e’ quello che sta succedendo oggi con le misure di austerita’, NdR). Persino Olivier Branchard del FMI ha ammesso che hanno sbagliato politica.

WSI: Vista la profondità della crisi delle imprese più piccole, i 15 miliardi messi a disposizione dalla Bei per gli investimenti delle PMI in Ue non sono forse insufficienti?

PA: Con questi investimenti all’italia non cambia nulla, non interessa a nessuno. Siamo famosi per non utilizzare i fondi europei. Sono insufficienti, perche’ tanto non li usiamo … L’animale sta morendo e bisogna dargli la giusta cura. Che e’ politica: se non mettono mano al costo del lavoro non si va da nessuna parte. Un dipendente prende 100 e dobbiamo dare 140 allo stato. Le aziende grosse e strutturate che riescono a fare il salto, vanno da un’altra parte.

WSI: Cosa le è piaciuto di quanto fatto dal governo sin qui?

PA: Tutto cio’ che serve a sburocratizzare il nostro modo di fare impresa. Nel decreto del Fare ci sono misure che vanno nella giusta direzione, ma manca una svolta drastica. “Il decreto del Fare e’ poca cosa. Ci sono cose che vanno bene, ma non mette mano al vero problema. Le imprese italiane non sono piu’ competitive.

Prima di sedersi al tavolo bisognerebbe che qualcuno di questi professori capisca che per fare prodotto e poterlo vendere bisogna che il costo del prodotto sia appetibile al cliente. Allora sì che cominceremo ad assumere.

Paolo Agnelli e’ un industriale di terza generazione. Guida l’omonimo Gruppo leader nel settore dell’estrusione dell’alluminio, delle pentole professionali ed ha interessi nel campo dell’editoria, della finanza e dello sport professionistico e dilettantistico. Complessivamente il Gruppo Agnelli occupa circa 310 persone con un fatturato nell’anno 2012 di 110 milioni di euro.