ROMA (WSI) – Dagli Stati Uniti “nessuna ingerenza” sulla missione militare italiana in Libia. Dall’ambasciata americana arriva la smentita alle parole del premier, Matteo Renzi, che durante il colloquio televisivo con Barbara D’Urso, aveva negato che l’intervento fosse “all’ordine del giorno”.
A mettere in giro questa voce, però, non era stato l’ambasciatore John Phillips, bensì il ministro della Difesa, Roberta Pinotti in un’intervista al Messaggero di venti giorni fa. Così il comunicato dell’ambasciata:
Gli Stati Uniti lavorano insieme agli alleati, compresa l’Italia, alla pianificazione di una forza internazionale che possa assistere un governo libico di unità nazionale a ristabilire la sicurezza nella capitale. In quest’ottica l’ambasciatore, rispondendo a una domanda, ha semplicemente detto che l’Italia ha pubblicamente indicato la sua volontà di mandare cinquemila uomini.
Nell’intervista che Phillips aveva rilasciato al Corriere della Sera cinque giorni fa veniva riportata questa frase:
L’Italia potrà fornire fino a circa cinquemila militari. Occorre rendere Tripoli un posto sicuro e far in modo che l’Isis non sia più libero di colpire.
Manca, dunque, il riferimento alle dichiarazioni del ministro della Difesa Pinotti, fatto che certamente ha contribuito all’equivoco, per quanto sia ben difficile che il governo fosse inconsapevole che, pubblicamente, l’ipotesi dell’invio di un contingente militare fosse già più che avviata. Così Roberta Pinotti nell’intervista del Messaggero del 15 febbraio:
Se in Afghanistan abbiamo mandato fino a cinquemila soldati, in un Paese come la Libia che ci riguarda molto più da vicino e in cui il rischio di deterioramento è molto più preoccupante per noi, la nostra missione può essere significativa e impegnativa, anche numericamente.
È più probabile l’ipotesi di una retromarcia sostanziale di Palazzo Chigi per prendere tempo fino a che il governo di unità nazionale libico non sarà entrato nelle sue funzioni (un processo che non sarà affatto agevole), nella consapevolezza, allo stesso tempo, dell’avversione dell’opinione pubblica alla guerra: l’80% degli italiani, infatti, si sono detti contrari all’intervento.
Il motivo dietro all’intervento di una coalizione internazionale in Libia è evidente a tutti e non è certo – per lo meno non solo – la lotta all’ISIS, bensì il petrolio. I due poli politici amministrativi in cui è spaccato il paese, Tripoli e Tobruc, si dividono un patrimonio petrolifero di 130 miliardi. Tripoli è la base della fazione dei ribelli islamici, mentre Tobruc è la sede dei membri del Parlamento scappati dalla capitale due anni fa.