Ambiente, istruzione e permanente bassa fecondità sono solo alcune delle criticità strutturali di cui soffre il sistema Italia secondo quanto rende noto l’Istat nel suo Rapporto Annuale 2020.
Trattasi di problemi annosi ma urgenti, afferma l’Istituto nazionale di statistica, sui quali il dibattito riguardante specifici aspetti della crisi ha riportato l’attenzione. Soprattutto, si tratta di questioni che meritano azioni e investimenti – sia pubblici sia privati – che a loro volta possono costituire una leva essenziale per la ripartenza.
Lo stato dell’ambiente in Italia
Partendo dai problemi legati all’ambiente, il rapporto rivela che le famiglie causano il 26% delle emissioni di gas serra, le attività agricole il 9%, la produzione di energia elettrica il 21%, le altre attività industriali il 27% e i servizi il 17%.
Negli ultimi 40 anni si è osservata una tendenza all’aumento della temperatura media globale sulla terraferma. Per l’Italia tale valore è stato di +0,38°C ogni 10 anni; nel 2018 le anomalie della temperatura media sono risultate particolarmente spiccate, con una deviazione verso l’alto di 1,7° rispetto al periodo 1961-1990.
Una frazione crescente di cittadini manifesta preoccupazione per l’inquinamento dell’aria. La proporzione nel corso di 20 anni è aumentata di circa dieci punti percentuali e nel 2019 ha raggiunto il 53,7%. Si è modificata inoltre la scala delle priorità su aspetti specifici. La preoccupazione per l’effetto serra è scesa di circa 20 punti percentuali dal 1998 e nel 2019 si attesta al 40%. Di senso inverso l’andamento della preoccupazione per i cambiamenti climatici che nel 2019 interessa il 55,6% degli intervistati dal 36% del 1998.
Il livello di istruzione
Secondo il rapporto, l’Italia presenta livelli di scolarizzazione tra i più bassi dell’Unione europea, anche con riferimento alle classi di età più giovani. Nell’Ue27 (senza il Regno Unito), il 78,4% degli adulti tra i 25 e i 64 anni ha conseguito almeno un diploma secondario superiore mentre in Italia l’incidenza è del 62,1% (dati 2019).
La media degli adulti di 25-64 anni con titolo universitario che lavorano sono, in Italia e nell’Ue27, più elevati di quasi 30 punti rispetto a quelli di chi ha al più la licenza media. I possessori di diploma secondario superiore hanno, a loro volta, tassi d’occupazione più elevati di quasi 20 punti percentuali rispetto a chi è meno istruito. In Italia i diplomati hanno un reddito superiore del 34% rispetto a chi ha al massimo la licenza media, e la laurea conferisce un premio aggiuntivo di un ulteriore 37%.
Le attività con una maggior presenza di lavoratori istruiti (rappresentata dalla scolarizzazione media) sono anche caratterizzate da produttività del lavoro più elevata (la correlazione è di circa l’80% nel caso della manifattura, del 30% circa per i servizi).
Nel 2019 Internet è utilizzato regolarmente dal 74% degli individui tra i 16 e i 74 anni, contro l’85% nella Ue28. Gli utenti con competenze digitali elevate sono il 22% in Italia e il 33% in media europea.
Le famiglie italiane completamente sprovviste di internauti sono 6 milioni 175mila (il 24,2% del totale). In prevalenza si tratta di quelle costituite da soli anziani e da componenti con basso titolo di studio. Sensibili le differenze territoriali: la quota di famiglie in cui nessun componente usa la Rete tocca quasi il 30% al Sud e nei comuni fino a 2mila abitanti.
La fecondità in Italia
Secondo l’Istat, l’Italia è un Paese a permanente bassa fecondità con il numero medio di figli per donna per generazione che decresce dai primi decenni del secolo scorso, passando dai 2,5 figli delle donne nate nei primissimi anni ’20, ai 2 figli per donna delle generazioni dell’immediato secondo dopoguerra, a 1,56 figli per le donne della generazione del 1965, fino a raggiungere il livello stimato di 1,43 per la coorte del 1978.
Il Centro-nord presenta una quota importante di donne senza figli (quasi una su quattro al Nord per la generazione del 1978) e un’elevata frequenza di donne con un solo figlio. Al Sud è in aumento la quota di donne senza figli mentre rimane maggioritario il modello con 2 figli e più. Il persistente calo della natalità si ripercuote soprattutto sui primi figli che si riducono a 204.883 nel 2018, 79mila in meno rispetto a dieci anni prima
La rapida caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid con un calo che dovrebbe mantenersi nell’ordine di poco meno di 10mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021.
La prospettiva peggiora ulteriormente se agli effetti indotti dai fattori di incertezza e paura si aggiungono quelli derivanti dallo shock sull’occupazione. I nati scenderebbero a circa 426mila nel bilancio finale del corrente anno, per poi ridursi a 396mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021.