Legnano – Non sono servite le parole del presidente Obama, ieri verso sera, a tranquillizzare il mercato, anzi! La prima delle sedute di borsa, successivamente al downgrade del rating americano compiuto a cavallo del fine settimana, ha fatto aggiornare la statistica delle giornate peggiori da ricordare. Il Dow ha lasciato sul terreno il 5.55%, il NASDAQ il 6.9%, senza contare quello che era capitato qualche ora prima nel Vecchio Continente con Milano, per una volta senza titolo di peggiore del giorno, con un calo del 2.35%, il DAX in calo del 5.02% e Parigi del 4.68%.
Nonostante il presidente Obama, quindi, abbia fatto appello al peso della propria nazione sul mercato globale, continuando a credere che il debito degli States sia ancora a tripla A (l’enorme afflusso di acquisti di Treasury visti ieri sembrerebbe dargli ragione, anche se in buona parte questo potrebbe essere dovuto ad un calo della propensione al rischio degli investitori che non vedono, per il momento, alternative ai titoli di stato americani), il mercato non sembra apprezzare questo momento, ne le contromisure prese per arginarlo.
Pensiamo per esempio alla recente manovra americana, che lo stesso presidente aveva dichiarato come una soluzione alternativa alla migliore per il paese: sembra infatti che proprio questa abbia spinto gli analisti di Standard&Poors nella direzione di un taglio per la prima volta nella storia. La percentuale del debito pubblico americano rispetto al PIL, secondo S&P e nonostante il recente accorso, salirà dall’attuale 74% sino a toccare, nella peggiore delle ipotesi, il 101% nel 2021, passando dal 91% nel più vicino 2015.
Proprio questa salita attesa, infatti, è al centro della mossa compiuta: non si sarebbe infatti spiegato il downgrade rispetto, per esempio, ai rating rimasti stabili di paesi europei (vedasi Francia e Regno Unito), che hanno conservato il proprio giudizio poiché, nonostante la percentuale debito PIL sia attualmente maggiore non è previsto un ulteriore peggioramento.
Nonostante S&P abbia poi messo in guardia su un ulteriore, eventuale, downgrade, sempre che non siano messe in atto quelle manovre fiscali preventivate, un’altra compagnia di rating, Moody’s, ha ufficialmente dichiarato di non voler abbassare il rating, nel prossimo futuro, poiché il dollaro, come abbiamo visto in questi giorni, è ancora una valuta di rifugio di primo piano, e questo permette agli Stati Uniti livelli di indebitamento maggiore rispetto agli altri paesi. Non è detto che il giudizio rimanga invariato però nel lungo periodo, dato che se le condizioni economiche dovessero peggiorare e dovesse essere visto un aumento della debito/PIL potrà essere compiuto un passo doloroso anche da questa agenzia.
Lo stesso, molto probabilmente è stato per il crollo dei mercati europei, dopo un’apertura di settimana in territorio positivo. Sembra infatti che la reazione peggiore delle borse francese e tedesca, abbia a che fare con il recente piano di acquisto di titoli di stato europei da parte delle BCE, a cui sino all’ultimo proprio questi due paesi si erano opposti. In questo caso sembra proprio che il mercato, con questa massiccia vendita, abbia voluto comunicare la propria contrarietà alla mossa con una fuga dall’azionario, associato ad un rischio troppo elevato in questo momento.
Quasi ce ne stavamo scordando, ma in tutto questo “rumore” sembrava quasi passare in secondo piano. Oggi avremo la riunione della Fed per la consueta decisione sui tassi di interesse e nonostante non siano previsti movimenti, l’attesa è davvero alle stelle per eventuali commenti in una fase altamente complicata come quella che stiamo vivendo.
A parte le borse, è importante osservare come la reazione del mercato sia risultata del tutto simile a quella vista la settimana passata, con un crollo delle valute ad alto rendimento ed una corrispondente, continua, corsa del mercato verso i così detti “beni rifugio”, il franco e l’oro in primis. In entrambi i casi sono stati registrati nuovi massimi anche se l’oro giunto a 1.772,00 $/oncia dovrebbe fare ancora un po’ di strada per raggiungere il livello degli anni ottanta, al di sopra di 2.000 se aggiustato in base all’inflazione degli ultimi trent’anni.
Vediamo il cambio eurodollaro, sulle montagne russe ieri, ma tutto sommato stabile nella visione di medio periodo. Nonostante, infatti, siano stati coperti più di 300 pip di range il prezzo medio degli ultimi giorni continua a viaggiare prossimo a 1.4250. Questo potrebbe cambiare con la rottura definitiva del livello di resistenza dinamico posto a 1.4430, dove peraltro incontriamo il massimo del cambio degli ultimi dieci giorni, provato nei giorni scorsi almeno in due occasioni. Come livello di supporto, davvero interessante anche nel lungo periodo, troviamo l’area indicata poco al di sotto di 1,40, dalla linea di tendenza positiva che insiste su grafico orario da giugno 2010.
Il dollaro nei confronti dello yen, come già osservato i giorni scorsi, ha ripreso a percorrere una tendenza negativa che molto probabilmente ci riporterà all’interno del canale ribassista che abbiamo potuto seguire da inizio luglio. Questo potrà avvenire con una nuova escursione in direzione del precedente doppio minimo storico del cambio, dal quale ci separa poco più di una figura (76.40 visto il primo agosto scorso).
Possiamo ritrovare ancora una grande precisione nel movimento laterale compiuto dal cable nelle ultime due settimane abbondanti. 1.6460 e 1.6220-60 sono ancora i due estremi di quella figura che assume sempre più le sembianze di un rettangolo e che dovrebbe fornirci obiettivi chiari una volta che uno dei due livelli di resistenza o supporto, venissero rotti.
Il continuo movimento favorevole al franco svizzero ha portato a vedere nuovi livelli di minimo di dollaro ed euro.
Il cambio UsdChf è giunto sino a 0.7482 ieri, il medesimo livello sul quale abbiamo avuto un rimbalzo nelle prime ore della notte. Continuiamo in questo caso ad affidarci ad un livello di svolta dinamico, dato dalla media mobile di lungo su grafico orario, per attendere una ripresa del dollaro. Questo livello transita a 0.7650 nelle prossime ore e sino ad allora la tendenza continua essere negativa per il dollaro.
Il cambio EurChf sta compiendo un movimento del tutto sovrapponibile a quello appena visto. In questo caso abbiamo toccato un nuovo minimo a 1.0605 ed il punto di svolta si trova a 1.0860, che in questo caso è da osservare su grafico con candele a 4 ore e ci viene suggerito dalla meda mobile esponenziale di breve (21 periodi).
Il cambio AudUsd sta continuando a mostrare una decisa inversione rispetto al trend primario di lungo periodo. Ciò che lascia maggiormente sorpresi è stata la facilità, oltre la rottura della linea di tendenza positiva che transitava prossima a 1.04, di raggiungere il primo obiettivo suggerito come supporto da Fibonacci oltre la parità (0.9925 per la precisione). Nonostante dopo questo obiettivo centrato i prezzi abbiano messo a segno una forte ripresa, lascia comunque sorpresi vedere compiere un movimento di più di 11 figure in 6 giornate. La velocità del calo complica la ricerca di un livello di resistenza per le prossime ore, fermo restando che solamente al di sopra di 1.04 potrà tornare la fiducia sul dollaro australiano. Forse fra 1.02 e 1.0250 è possibile trovare qualcosa.
Il dollaro neozelandese si è mosso esattamente come il vicino dollaro australiano. In questo caso il calo è risultato di poco inferiore alle 9 figura, in 6 giorni, sebbene la rottura di 0.8225 abbia complicato maggiormente la situazione grafica. Qui infatti è stato passato anche il secondo livello dei tre maggiori di Fibonacci, configurando così una pressione ribassista maggiore del previsto. Prima di sbilanciarci e ipotizzare un ritorno a 0.71 (il punto di partenza dell’ultimo movimento in salita) forse val la pena attendere ed osservare se il cambio riuscirà a rientrare al di sopra di 0.8360.
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