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André Messika. Il galantuomo dei diamanti

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Diamantaire, gentleman e imprenditore di successo. Una storia di grande ispirazione

Foto di Keila Guilarte

La sua è una storia imprenditoriale di grande successo: da semplice ragazzo delle consegne è divenuto uno dei più grandi commercianti di diamanti di Parigi e ha fondato un’azienda che ha recentemente celebrato il suo 50° anniversario. André Messika, gentleman e imprenditore di successo, parla in esclusiva a Wall Street Italia.


André Messika

Come e quando è nata la sua passione per i diamanti?
“Tutto è iniziato nella gioielleria di mia sorella e suo marito. Avevo 12 anni. Un uomo, un bel ragazzo, giovane, è entrato per mostrare a mio cognato un diamante per l’anello di fidanzamento di mia sorella. Ero seduto in un angolo, ma ricordo tutto chiaramente. Li guardavo e mi chiedevo cosa stessero facendo. Mi avvicinai e vidi che erano chinati su una piccola cartina che conteneva un minuscolo diamante. L’ho guardato e mi sono detto: ‘Questo è quello che voglio fare da grande’. Da bambino ero iperattivo, non riuscivo a concentrarmi a scuola. Mio zio, che era orologiaio, disse ai miei genitori: ‘Quel ragazzo non andrà mai a scuola, bisogna insegnargli un mestiere. Gli insegnerò il mio e mio figlio lo prenderà a lavorare nella sua gioielleria’. Ho iniziato a lavorare per mio cugino e lì ho cominciato a sognare. Non mi interessava l’orologeria, sognavo di vendere diamanti. I diamanti sono carbone che si cristallizza e il mio sogno si è cristallizzato in realtà. Ho sempre pensato che un giorno sarei diventato un commerciante di diamanti”. 

Come è passato dagli orologi ai diamanti?
“Tre anni dopo litigai con mio cugino: non voleva riconoscermi come orologiaio, voleva tenermi come apprendista perché gli costava meno. Disse: ‘È così o niente’. Ho sempre odiato l’ingiustizia e ho sempre sognato in grande, non per ambizione, ma per visione. Mio padre era un funzionario dell’esercito francese, non era ambizioso, non era un uomo d’affari. Mi disse: ‘Ti guadagni da vivere con tuo cugino, non fare troppe storie’. Quando andai a trovare mio cugino la mattina seguente fu così arrogante che trovai il suo atteggiamento ingiusto. Lo informai che avevo deciso di andare via. Replicò: ‘Vattene, hai un quarto d’ora’. Preparai le mie cose e presi la metropolitana. Non sapevo dove andare, così andai a trovare l’uomo che anni prima aveva venduto il diamante a mio cognato. Bussai alla sua porta: ‘Sono venuto a chiederti un lavoro’. Lui mi rispose: ‘Lo sai che il commerciante di diamanti è un mestiere che si tramanda di padre in figlio?’. Io volevo semplicemente fare le consegne per lui. Il diamante era la mia pietra, era il mio sogno e volevo vivere accanto al mio sogno. In poco tempo si rese conto che ero molto abile, che i diamanti e io eravamo fatti l’uno per l’altro. È così che il sogno ha cominciato a realizzarsi”. 


André Messika con il figlio Ben

Quale evento ha segnato il suo primo grande successo nel settore?
“Ce ne sono stati due. Il primo è stato il giorno in cui ho avuto il coraggio di lasciare il mio capo: avevo fatto crescere la sua attività del 20-30%, ma un giorno mi insultò davanti a tutti. Avevo 20 anni e non avevo intenzione di subire ingiustizie. Sono rimasto con lui un altro anno, dopodiché me ne sono andato. Il secondo momento è stato 20 anni dopo, quando ho creato la mia azienda. Un giorno ricevetti una telefonata dal più grande commerciante di diamanti di Parigi, era un francese di una Maison centenaria. Mi chiamò e mi disse: ‘André voglio vendere la mia attività e vorrei che fossi tu a succedermi’. Fu un grande onore. All’epoca vi erano cinque diamantaires a Parigi, così facendo mi fece diventare il numero uno”.

Come è cambiata l’industria dei diamanti da quando ha iniziato?
“Questo era un mestiere pieno di ombre, estremamente segreto. Non riuscivo a capire perché qualcosa di così puro dovesse rimanere nascosto. Quando ho cominciato ho voluto un ufficio tutto in vetro: non volevo lasciare nulla nell’ombra, volevo che tutto fosse trasparente e luminoso, proprio come i diamanti”.

Ha sempre preferito i diamanti alle pietre colorate. Come mai?
“Amavo tutte le pietre, i rubini, gli zaffiri, ma un giorno decisi che era giunto il momento di essere fedele e ne scelsi una soltanto. Nella vita non si può avere tutto. Volevo essere il migliore nel mio lavoro e per essere il migliore bisogna specializzarsi, così ho scelto la pietra più luminosa”.

 

Nel 2001 si è trasferito da Parigi in Israele e ha creato André Messika Diamonds nel Diamond Exchange a Ramat Gan. Perché ha preso questa decisione?
“Decisi di andare in Israele il 10 settembre 2001. Quel giorno, al mare, vidi il tramonto più bello della mia vita. È stato il tramonto più bello perché quel giorno presi una decisione importante. Avevo più di 50 anni, avevo creato qualcosa in Francia, ma ero sempre considerato un intermediario. Sapevo che se volevo durare ancora 20 anni dovevo trasferirmi in Israele. Mia moglie è israeliana, volevo renderla felice e allo stesso tempo dare spazio a mia figlia che voleva creare un marchio di gioielli. I grandi alberi che fanno ombra ai piccoli un giorno muoiono e i piccoli non riescono più a crescere. Mi sono detto: ‘Non sei un albero, lascia che tua figlia cresca’. Dissi a mia moglie: ‘Ce ne andiamo’. Sei mesi dopo eravamo in Israele, in una casa al mare a guardare il tramonto…”.

Ha sempre sognato in grande. Quanto è importante questo elemento nella sua vita?
“Sono sempre stato un sognatore. Non ho mai voluto fare soldi, ho sempre voluto fare ciò che amo e facendo ciò che amo ho guadagnato molto. L’ho fatto con etica e valori. Non sono un intellettuale, solo un ragazzo che non è mai andato a scuola ma che non ha mai smesso di sognare”.

Ha ispirato i suoi figli a seguire le sue orme nel settore della gioielleria. Quali sono i valori fondamentali che ha trasmesso loro?
“La mia passione prima di tutto. Poi la gentilezza e i valori umani che io stesso ho appreso nel corso della vita. Ho imparato molto dai miei figli: un padre che non impara dai figli è un padre povero. Un padre ricco non è colui che ha fatto tanti soldi, ma è colui che ha imparato dai suoi figli e che li ha guidati, perché loro stessi lo hanno motivato a farlo. Soprattutto, ho insegnato ai miei figli a fare ciò che amano, non ciò che amo io. Non gli ho mai imposto di fare qualcosa, gli ho sempre fatto venire voglia di farla”.

La sua fabbrica in Namibia è un magnifico esempio di come i diamanti possano fare del bene: l’azienda è il più grande datore di lavoro di persone con disabilità nel paese. Quanto è importante restituire alla società ciò che si è ricevuto dalla vita?
“In questa fabbrica lavorano molte persone con disabilità. Ho un figlio disabile, è quindi naturale per me provare a fare per gli altri quello che faccio per lui. Non ho mai parlato di questa realtà, non è mai stato un prodotto di marketing per me. Nel prossimo futuro, vorrei costruire una fabbrica di diamanti in cui almeno il 50% dei lavoratori siano disabili. Voglio restituire all’Africa quello che mi ha dato, fare qualcosa che aiuti direttamente le persone e vorrei che i miei colleghi facessero lo stesso, da solo, non vado lontano. Voglio essere d’ispirazione. Questo per me ha più importanza di qualsiasi altra cosa”.

André Messika Ltd. è uno dei principali produttori e distributori di diamanti. In che modo la pandemia ha influito sul settore?
“Sono ebreo, una persona spirituale, credo che tutto accada per un motivo. Il Covid ha salvato l’industria dei diamanti, sul mercato ce n’erano troppi. Per dieci anni vi è stato un grande aumento della produzione. Il Covid ha costretto tutti a fermarsi, permettendo al mercato di riassorbire lo stock e ricominciare più lentamente. Oggi i diamanti naturali sono molto rari: se qualcuno cerca un diamante specifico non ne troverà dieci, ne troverà uno, forse due, forse non al suo prezzo. Grazie al Covid i diamanti hanno ritrovato la loro rarità”.

Cosa ne pensa dell’industria della gioielleria italiana?
“L’Italia è sempre stata un grande player nel settore. Le famiglie italiane sono state tra le prime a creare dei marchi di moda e di gioielleria. Bulgari, per esempio, è oggi un brand riconosciuto e stimato a livello internazionale. Questi marchi sono stati di grande ispirazione: ho un immenso rispetto per il know-how, la creatività e le tecnologie che utilizzano. Recentemente, molti brand della moda italiana – come Gucci, ad esempio – si sono interessati al mondo dei gioielli. La nostra industria ha bisogno di questi nuovi attori, del loro talento e della loro forza finanziaria, elementi essenziali per rimanere a lungo nel mondo della gioielleria”.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di ottobre del magazine Wall Street Italia