Roma – “Un enorme passo avanti” o una “grande occasione mancata”? La nuova legge contro la corruzione varata il 31 Ottobre, inorgoglisce il governo. Esalta la “strana” maggioranza. Ma preoccupa seriamente i magistrati, che con l’applicazione di quella legge dovranno fare i conti. E saranno conti salati. Perché le nuove norme che ridefiniscono il reato di concussione, a dispetto delle rassicuranti certezze del ministro Severino, incideranno pesantemente sui processi in corso. A temerlo non sono gli “irriducibili” del giustizialismo senza se a senza ma. È la Corte di Cassazione.
Con una relazione di ventuno pagine, l’Ufficio studi del “Palazzaccio” romano smonta pezzo per pezzo la nuova legge, che sulla carta dovrebbe stroncare il malaffare dilagante in centro e in periferia, e che invece rischia di creare enormi problemi interpretativi ai tribunali. I punti critici sono tanti. Dal nuovo reato di “corruzione tra i privati” (il cui accertamento sarà “a dir poco problematico”) a quello di “traffico di influenze illecite” (che mentre non sanziona alcuni tra i comportamenti illeciti più ricorrenti, sanziona invece “condotte del tutto lecite” in altri Paesi europei).
Ora l’aspetto più problematico riguarda “la rimodulazione del reato di concussione”, cioè quello che fin dai tempi di Tangentopoli è stato il più grave dei reati contro la Pubblica Amministrazione.
Il nodo è lo “spacchettamento” introdotto con la riforma. “L’originaria ed unitaria fattispecie prevista dall’articolo 317 del Codice penale e comprensiva delle condotte di costrizione e induzione – scrive l’Ufficio studi – oltre ad essere stata riferita esclusivamente al pubblico ufficiale e non più anche all’incaricato di pubblico servizio, è stata ora circoscritta esclusivamente alla prima delle due condotte menzionate, cioè quella di costrizione”.
In questo caso, la pena minima è stata inasprita, da 4 a 6 anni.
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