A dieci anni dall’ampliamento della platea dei soggetti obbligati agli adempimenti antiriciclaggio, notoriamente estesi anche ai professionisti contabili e legali, rispettivamente riferibili alla categoria dei commercialisti e revisori legali ed a quella dei notai ed avvocati, possiamo fare qualche comune riflessione anche in termini di bilancio complessivo.
Si è trattato di una “collaborazione attiva”, per quanto atipica e non decollata a sufficienza, certamente ha fornito un’arma aggiuntiva di particolare interesse nel quadro normativo messo in campo dalla Istituzione, peraltro richiesto già dal 1989 in occasione delle famose quaranta Raccomandazioni del Gafi[1].
Se l’obbligo principale dell’intero dispositivo di contrasto al riciclaggio di denaro sporco e finanziamento del terrorismo di cui alla vigente disciplina antiriciclaggio ex Decreto legislativo 231/07, è e rimane – in capo ai professionisti citati ed al pari del mondo bancario e finanziario – l’obbligo di Segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Il sospetto, come recita l’art. 41 del decreto, è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto anche conto anche della capacità economica e all’attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell’attività svolta ovvero a seguito del conferimento dell’incarico.
Al netto dell’obbligo appena ricordato, comprendente fra l’altro il tentativo di combattere tutto il mondo della evasione fiscale e/o delle condotte fraudolente riguardanti in primis le false fatturazioni e quant’altro, l’ulteriore obbligo esistente in capo ai professionisti interessa l’irregolare trasferimento di denaro contante per transazioni commerciali e gli obblighi di comunicazione al Mef[2] conseguenti.
Il mancato rispetto di tale obbligo di comunicazione incombente sulla figura del commercialista entro il termine di trenta giorni, implica il rischio di una sanzione dal 3 al 30% dell’importo della transazione.
In pratica, venire a conoscenza di un trasferimento di denaro contante per regolare una transazione commerciale, regolarmente fatturata, laddove la stessa sia pari o superiore alla soglia stabilita di 3.000 euro, impone la comunicazione al Mef nel termine appena detto dei trenta giorni per le successive contestazioni, in capo ai contraenti dell’operazione destinatari di una sanzione dall’1 al 40%.
Quello che maggiormente sconcerta, lo dico anche sulla scorta dei numerosi quesiti che ricevo da parte dei professionisti registrati al mio sito web[3], sta nel fatto che pur registrando in contabilità operazioni commerciali regolarmente fatturate, in quanto commercialista devo denunciare queste condotte certamente irregolari – in quanto contrastano il precetto normativo di cui all’art.49 del decreto.
Non è un caso che ho titolato questo articolo come “… l’imbarazzo del professionista contabile …”.
Cosa fare per scongiurare o per ridurre significativamente questo imbarazzo?
A mio avviso la soluzione, come spesso accade, è molto semplice: informare la clientela, anche attraverso un vade mecum riepilogativo di un modus operandi in grado di abituare il cliente al rispetto della norma, tanto più in circostanze come questa in commento, dove manca completamente la volontà di evadere gli adempimenti fiscali.
Educare la clientela potrà rappresentare un percorso virtuoso per tutelare il cliente e scongiurare ogni sorta di imbarazzo.
Rispettare la norma è semplice, è conveniente per tutti ma soprattutto per il professionista contabile, a prescindere!
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[1] Gafi: Gruppo di azione finanziario internazionale
[2] MEF: Ministero dell’economia e finanze
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