Mentre la Commissione europea sta meditando sulle sorti di Apple e sui presunti trattamenti fiscali di favore ad essa riconosciuti in Irlanda, sui quali il mese prossimo maturerà una decisione, gli Stati Uniti hanno lanciato un monito chiaro: la minaccia di risarcimenti miliardari oltrepassa “il far rispettare le leggi sugli aiuti di stato e la concorrenza” e rischia di trasformare la Commissione “in un’autorità sovranazionale fiscale” che si intromette nelle autonome scelte sulla tassa sulle società. A scriverlo, è il Dipartimento del Tesoro Usa in un white paper che punta a influenzare la decisione di Bruxelles, che potrebbe rivelarsi molto costosa per la compagnia statunitense.
Un trattamento punitivo sulle somme indebitamente risparmiate da Apple sarebbe, secondo l’amministrazione Obama, un precedente “disturbante” per altre società americane, stimolando azioni di rivalsa analoghe da parte degli Stati che si sentono danneggiati da aliquote fiscali troppo amichevoli.
Nel caso della Mela il prelievo della tassa sulle società, già bassa in Irlanda col suo agile 12,5%, sarebbe stata ulteriormente limata fino a toccare il 2%. Secondo quanto stimato da JPMorgan Apple potrebbe vedersi costretta a un versamento, nel caso più grave, di 19 miliardi di dollari. Una cifra non certo paragonabile alle poche decine di milioni richieste a Starbucks o a Fiat per analoghi accordi rispettivamente con Olanda e Lussemburgo.
Se l’Ue provvederà a domandare il risarcimento ai danni di Apple, “il Tesoro Usa” considererà “potenziali risposte alla Commissione se dovesse proseguire il presente corso”. Ottenere contributi retroattivi è una scelta che gli Stati Uniti giudicano “non solo è in contrasto con gli sforzi del G20 per garantire la certezza fiscale ma anche un precedente indesiderato che potrebbe portare il fisco di altre nazioni” a cercare di ottenere “ampi versamenti retroattivi e punitivi da aziende sia Usa, sia Ue”. Naturalmente, fanno sapere da Cupertino, in caso di scelte “scorrette”, Apple appellerà la decisione di Bruxelles.
Fonte: Financial Times