Dopo il rialzo dei tassi di interesse al 60% da parte della Banca Centrale (il livello più alto al mondo) e gli aiuti per 50 miliardi di dollari concessi dall’FMI in cambio di un pacchetto di misure di austerity, l’Argentina non è ancora fuori dalla crisi. Le politiche monetarie aggressive non bastano, secondo l’opinione di uno dei gestori di Fidelity International, e c’è il rischio che si ripeta una crisi simile a quella che ha portato al default delle finanze pubbliche nel 2002.
“Al momento i punti da risolvere per l’Argentina sono il suo posizionamento e l’aspetto politico. Gli investitori esteri sono stati attratti dal Peso argentino nei passati due anni e mezzo, data l’attrattività del suo rendimento nominale e l’ottimismo verso l’agenda riformista del Presidente Macri. Il rafforzamento del posizionamento creatosi in questo modo è stato considerevole, trattandosi ancora di un mercato piccolo e di frontiera”, dice Paul Greer, Gestore di FF Emerging Market Debt Fund di Fidelity International.
Con l’Argentina sofferente per un’inflazione incalzante, un pesante deficit delle partite correnti, basse riserve di valuta estera, obiettivi fiscali difficili da raggiungere e una crisi della valuta, attualmente il Peso è colpito da fuoriuscite di capitale, “in quanto gli stranieri che hanno investito puntano a svincolarsi in un breve lasso di tempo”, spiega Greer.
Ora che la banca centrale ha alzato i tassi al 60% e che il Fondo Monetario Internazionale sta programmando austerità fiscale, “è possibile che l’economia vada verso una pesante recessione nei prossimi 12 mesi“.
Questo aggiungerà ulteriore pressione politica sul Presidente Macri in vista delle elezioni presidenziali nell’ottobre 2019, date le sue aspirazioni per un secondo mandato. Da Fidelity si aspettano che l’inflazione aumenterà, che le negoziazioni sui salari nel settore pubblico diverranno estremamente complicate per il governo e che ci saranno scioperi da parte dei lavoratori nell’arco del prossimo anno.
“Il potenziale ritorno del peronismo nella politica argentina”, sintetizza il manager, “è foriero di profonda preoccupazione per il mercato, in virtù del difficile rapporto che gli investitori hanno avuto con la dinastia Kirchner tra il 2003 e il 2015”.
Non c’è un rimedio semplice per la difficile fase che sta attraversando oggi l’Argentina. L’attuale scenario dei Mercati Emergenti è delicato e qualsiasi Paese con pesanti squilibri a livello macro-economico è preso di mira dai mercati.
L’Argentina necessita di un ribilanciamento della propria economia e l’inevitabile recessione che seguirà sarà di aiuto per alleviare il suo attuale problema di deficit, ma renderà gli obiettivi fiscali più difficili da raggiungere.
“È chiaro che per l’Argentina la sola politica monetaria restrittiva non basta. Riteniamo, inoltre, che i recenti problemi in Turchia e Argentina non siano la causa delle tensioni che stanno subendo i Mercati Emergenti, quanto piuttosto una conseguenza di una scarsa liquidità a livello globale, di un dollaro americano forte e di tensioni globali a livello commerciale e geopolitico“.
Turchia e Argentina, due dei principali mercati emergenti in crisi, hanno vulnerabilità piuttosto specifiche. Fidelity le ha messe in fila: pesanti deficit sulle partite correnti, alta inflazione, politiche fiscali espansive, basse riserve in valuta estera, una grande domanda di finanziamenti esterni, solo per citarne alcune.
Pertanto, “a nostro avviso, in un contesto complessivamente non facile per i mercati Emergenti, i Paesi con i disequilibri più gravi a livello macro-economico sono quelli che stanno soffrendo maggiormente”.