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Arrivano gli infermieri di famiglia, ma continua a mancare il personale

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Fornirà assistenza sanitaria, anche a domicilio, ma avrà principalmente il ruolo di essere una guida che assisterà il cittadino nella gestione della sua salute. Questo include attivare i servizi di cura, coordinare le comunicazioni tra diversi professionisti e, quando necessario, coinvolgere i servizi socio-assistenziali. Questa descrizione si riferisce agli infermieri di famiglia e di comunità, come descritto nelle linee guida specifiche sviluppate dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas). La figura è diventata oggetto di dibattito durante la pandemia, poiché l’emergenza sanitaria ha messo in evidenza le carenze nell’assistenza territoriale e l’urgente necessità di nuove strutture e professionisti dedicati. La riforma della sanità territoriale prevede la presenza di almeno un infermiere di famiglia ogni 3.000 abitanti.

Ma la creazione di questa figura, seppur richiesta da anni, non risolve il problema cruciale del numero insufficiente di infermieri, una situazione aggravata da carichi di lavoro onerosi, retribuzioni non adeguate (spesso intorno ai 1.500-1.600 euro al mese) e limitate prospettive di carriera.

L’identikit dell’infermiere di famiglia

Secondo le linee guida stabilite, l’infermiere di famiglia svolgerà il proprio lavoro a livello ambulatoriale, a domicilio o in generale nella comunità. Questo professionista non sarà semplicemente un fornitore di assistenza sanitaria, ma avrà anche il ruolo di potenziale attivatore di servizi assistenziali, come indicato dall’Agenas. Barbara Mangiacavalli, presidente dell’ordine professionale degli infermieri, spiega nel dettaglio:

Quella dell’infermiere di famiglia e di comunità è una figura che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha previsto già 20 anni fa. L’Italia è arrivata un po’ in ritardo: se ne è parlato la prima volta nel Patto per la Salute 2019-2021, ma poi non si è dato corso per concretizzarla.

In questo ruolo, l’infermiere di famiglia collaborerà con altri professionisti presenti nella comunità, tra cui medici di medicina generale/pediatri di libera scelta, assistenti sociali e professionisti delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, così come con gli infermieri di assistenza domiciliare integrata, come illustrato nel documento.

Carenza di infermieri, la situazione

Il problema resta quello del numero degli infermieri: le stime della Federazione Nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi) rivelano che in Italia attualmente mancano circa 63.000 infermieri in tutto il Paese. Questo è un problema di portata nazionale, anche se ci sono notevoli differenze regionali, con una carenza più accentuata al Nord rispetto al Sud. La situazione rischia di peggiorare ulteriormente a causa del sovraccarico di mansioni assegnate a ciascun infermiere a causa della mancanza di personale. Questo crea un circolo vizioso in cui gli infermieri possono essere sottoposti a carichi di lavoro insostenibili, che possono portare a burnout.

La carenza di infermieri nella sanità pubblica italiana è un problema che ha radici profonde e che è stato accentuato dalla pandemia, ma esisteva già prima. Alcune delle cause principali includono:

  • Invecchiamento della popolazione infermieristica e calo demografico: Molte infermiere e infermieri si stanno avvicinando all’età pensionabile, e la mancanza di giovani professionisti che entrano nella professione sta contribuendo a una carenza di personale.
  • Mutamento delle condizioni lavorative: Le condizioni lavorative per gli infermieri sono diventate sempre più stressanti, con carichi di lavoro elevati e risorse insufficienti. Questo ha portato a un aumento dell’attrito e della stanchezza professionale.
  • Scarsa offerta formativa: Il numero limitato di posti disponibili nei corsi di laurea in infermieristica ha contribuito alla carenza di professionisti qualificati.
  • Stipendi inferiori rispetto alla media europea: Gli stipendi degli infermieri italiani sono inferiori alla media europea, come evidenziato nel rapporto Health at Glance 2022 dell’OCSE. Questa disparità salariale può scoraggiare i giovani dall’entrare nella professione e spingere gli infermieri a cercare opportunità migliori all’estero.

Infermieri italiani in Svizzera quelli indiani in Italia

La carenza di infermieri italiani porta quindi gli ospedali a fare dei reclutamenti internazionali: come in India e Filippine, paesi che storicamente esportano medici e infermieri dato l’aumento esponenziale di universitarie private create appositamente per formare medici e infermieri da esportare all’estero, in paesi decisamente più attrattivi per lingua, salari e possibilità di crescita.

Lo stesso Ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha preso l’iniziativa di reclutare infermieri provenienti dall’India per affrontare la carenza di personale nelle nostre strutture sanitarie. In un’intervista a Repubblica ha detto:

Gli infermieri mancano in tutta Europa. Per questo stiamo pensando ad accordi con Paesi extraeuropei, che potrebbero metterci a disposizione professionisti già ben formati, dal punto di vista sanitario e della conoscenza della nostra lingua. Penso ad esempio all’India.

Ma se da un lato entrano infermieri stranieri, dall’altro escono quelli italiani. E dove vanno? In paesi dove possono trovare un salario migliore di quello italiano, tipo la Svizzera. Gli infermieri transfrontalieri, che secondo il Corriere della Sera sarebbero 4mila in Lombardia, possono percepire stipendi notevolmente superiori rispetto ai loro colleghi in Italia. In Svizzera, possono guadagnare fino a 5.000 euro al mese, una cifra equiparabile a quella di un primario in Italia.