ROMA (WSI) – Non è una guerra senza quartiere perchè il quartiere c’è, ed è il Pd. E non è nemmeno di quelle che scoppiano così, quasi per caso, perchè ci si preparava da tempo, e la posta in palio è tanto chiara che di più non si può: innovazione contro tradizione. E’ una sorta di guerra civile, quella che squassa il Pd, quasi uno scontro di religioni, e non è un caso che la miccia siano – a dirla in sintesi – il lavoro e il destino dell’articolo 18. Qualcuno dovrà vincere e qualcun altro perdere, di qui non si scappa: e chi prevarrà potrà ridisegnare oppure restaurare profilo, valori e identità del sempre inquieto Pd.
Vincesse Renzi, quella sorta di mutazione genetica avviata con il suo avvento alla segreteria e poi al governo (41% tre mesi dopo) produrrebbe una nuova e forse decisiva trasformazione del partito: visto che la questione mette in discussione la sua stessa ragione sociale. Vincessero gli altri – la “vecchia guardia”, se vogliamo dir così – gli esiti potrebbero essere imprevedibili: e nemmeno il precipitare verso elezioni in primavera, sarebbe più da escludere.
La “vecchia guardia”, dicevamo. In certi casi vecchissima e ancora amatissima tra i soggetti – i lavoratori dipendenti, per semplificare – in nome dei quali divampa la guerra civile. Sergio Cofferati, animatore di manifestazioni oceaniche in difesa dell’articolo 18, quasi non ci crede: «Si punta alla cancellazione di diritti elementari che la sinistra, prima, e il Pd, poi, hanno sempre difeso. Buttiamo via i nostri valori in cambio di che?».
In cambio dell’ennesima legittimazione a governare, si risponde da solo: e sempre più spesso il destino di chi governa si decide in Europa. «Se il Pd si spacca, se la tensione cresce, se i sindacati proclamano uno sciopero – annota Cofferati – Renzi pensa di poter poi andare in Europa e dire: “Avete visto che casino? Eppure la riforma io l’ho fatta”… Desolante. La sensazione è sempre più quella di una caduta verticale di professionalità, di capacità di governare».
Molte cose sono già andate di traverso alla “vecchia guardia” (a “quelli di prima”, per dirla con Renzi): il patto con Berlusconi, una legge elettorale contestata, una riforma del Senato imposta a colpi di diktat e metodi di direzione (del partito e del governo) mai davvero digeriti. Il Pd trasformato in un qualunque “partito del leader”. Passo dopo passo, verrebbe da dire, la mutazione continua: ma il passo che il governo intende fare sul lavoro, stavolta, è di quelli capaci di richiamare alle armi anche chi – contro il proprio stesso temperamento – s’era messo mestamente d’un canto.
“Se Renzi va avanti, troverà dei giapponesi pronti a combattere – annuncia Rosy Bindi -. Si comporta come se stesse in un altro partito: non ha mica vinto le primarie promettendo la cancellazione dell’articolo 18! Comunque, se il presidente del Consiglio è tranquillo perchè è certo di avere i voti di Berlusconi, bene: vuol dire che saranno sostitutivi di alcuni dei nostri. Io ho partecipato e sostenuto le manifestazioni di Cofferati – conclude – e pensavo di aver fondato, col Pd, un partito di sinistra: se lo si vuol trasformare in qualche altra cosa, ci sarà tanta gente pronta ad opporsi».
Un partito di sinistra, o di sinistra-centro: che non deve cambiare né collocazione né ragione sociale. «Se gli innovatori sono la destra, che pensa di uscire dalla crisi riducendo i diritti e la dignità di chi lavora – conferma Gianni Cuperlo – io penso per noi sia giusto stare dall’altra parte». Un partito di sinistra, o di sinistra-centro, che non può trasformare la sua segreteria «in un completamento dello staff di Renzi» (Fassina). Un partito di sinistra, o di sinistra-centro – però – che prima perdeva e adesso vince: allargando, appunto, i propri consensi non solo al centro ma, talvolta, perfino a destra. E questo è un fatto – frutto della mutazione – con cui si dovrà pur fare i conti.
Dice Pier Luigi Bersani – ultimo segretario “tradizionale” del Partito democratico – che quel che pare voglia proporre il governo gli sembra “surreale”. E rincara: «Si descrive l’Italia come vista da Marte». Vien da chiedersi come descriverebbe il Pd qualcuno che lo osservasse da Marte. Un partito in trasformazione? In disfacimento? Un partito moderno, tanto moderno da sembrare americano? Difficile dirlo.
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Visto dalla terra, invece, comincia a ricordare – dopo qualche mese di calma piatta – certi attualissimi e terribili scenari medio-orientali: califfi, ribelli, annunci di vendette e guerre sante di cui pochissimi avvertivano la mancanza. Non potrà durare a lungo, così. «E infatti Renzi è lì che osserva e decide il da fare – conclude Rosy Bindi -. Con la pistola delle elezioni sempre lì, sul tavolo, pronta a sparare…».
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”Lo sciopero generale? Vedremo”. Lo ha detto il leader della Cgil, Susanna Camusso. “Bisogna chiedere all’esecutivo se c’è ancora spazio per un confronto o se invece si preferisce percorrere scorciatoie”, ha spiegato a margine di un dibattito alla seconda festa provinciale della camera del lavoro di Pisa. Camusso, a Fornacette (Pisa), ha risposto alle domande dei giornalisti sulle polemiche innescate dal testo di riforma del lavoro presentato dal Governo: “Nei prossimi giorni ci incontreremo con Cisl e Uil e valuteremo quali saranno le nostre risposte alle scelte del Governo. La nostra priorità è e resta quella di superare la precarietà e il dualismo nel mondo del lavoro”.
L’ipotesi di abolizione dell’art.18 fa discutere i partiti e crea forti divergenze nel Pd. Se i vicesegretari Serracchiani e Guerini auspicano una ‘sintesi’ all’interno del partito, il presidente Dem Orfini critica apertamente il provvedimento e chiede ‘modifiche importanti’. Anche Bersani torna all’attacco: il governo chiarisca in Parlamento cosa intende fare. Ma il ministro Poletti chiude: nessuna modifica all’emendamento, a metà della prossima settimana testo in aula al Senato. Bonanni annuncia, presto vedro’ Camusso.
La Commissione Lavoro del Senato ha approvato la delega lavoro. Il Jobs Act approderà martedì in aula. Gli otto componenti del Pd in commissione Lavoro al Senato hanno votato sì alla delega sul lavoro. Sel e 5stelle hanno abbandonato i lavori della Commissione mentre i parlamentari di Forza Italia si sono astenuti.
“Sono davvero soddisfatto per l’approvazione della delega, giunta a conclusione di un lavoro efficace e positivo della Commissione Lavoro del Senato che ha consentito di apportare miglioramenti su punti significativi del provvedimento”. Così il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, sottolineando che quindi andrà in Aula nei “tempi previsti”.
“È sicuramente apprezzabile che anche l’articolo 4, nella nuova formulazione proposta dal Governo, abbia raccolto il consenso pieno della maggioranza”, ha sottolineato in una nota il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, dopo l’ok della commissione Lavoro del Senato al Jobs act, a proposito in particolare dell’articolo che riguarda il contratto a tutele crescenti modificato con l’emendamento del governo.
Il presidente della Commissione Lavoro del Senato e relatore della delega sul lavoro, Maurizio Sacconi, è ”soddisfatto” per l’approvazione del provvedimento in Commissione e afferma che le norme varate rappresentano ”l’incontro tra due riformismi”.
”Mi auguro che entro novembre la legge delega sul lavoro sia consegnata al Governo”, ha detto Sacconi dopo l’approvazione del Jobs act da parte della Commissione. Martedì il testo sarà in Aula. Entro dicembre, secondo Sacconi, potrebbero essere pronti i primi decreti delegati.
“I titoli del job act sono condivisibili. Lo svolgimento meno: ne discuteremo in direzione, ma servono correzioni importanti al testo”. Così il presidente del Pd Matteo Orfini ha criticato la riforma del lavoro in discussione al Senato.
“E’ assolutamente indispensabile che il governo dica al Parlamento cosa intende fare nel decreto delegato sul lavoro, perché si parla di cose serie”. Lo dice l’ ex segretario Pd Pier Luigi Bersani. “Io mi ritengo una persona di sinistra liberale – afferma – penso ci sia assoluta necessità di modernizzare le regole del lavoro dal lato dei contratti e dei servizi. Ma leggo oggi sui giornali, come attribuite al governo, delle intenzioni ai miei occhi surreali. In alcuni casi si descrive un’Italia come vista da Marte”.
“La delega sul lavoro è in corso di perfezionamento: è giusto che il Pd si ritrovi a discutere e definisca la propria posizione”. Lo dice il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini al termine della segreteria del partito. A chi gli domanda se il Pd si ritroverà unito sulla riforma del lavoro, risponde: “Assolutamente sì, lavoriamo per farlo”.
“Confidiamo, e non a caso la direzione è convocata il 29 settembre, che si possa trovare il luogo della sintesi” sulla riforma del lavoro “proprio all’interno del Partito democratico, un partito che ha dimostrato maturità proprio quando si pensava si sciogliesse come neve al sole, come sulle riforme”. Così risponde Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd, a chi la interpella sulle divisioni interne al partito sul Jobs act.
“Non è previsto” che il Governo “faccia correzioni sul testo, adesso c’è il lavoro parlamentare”, aveva detto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, rispondendo a una domanda su eventuali modifiche all’emendamento al Jobs Act. Il ministro ha anche aggiunto di essere “fiducioso” che il testo passi in Parlamento. Secondo Poletti, “non è mai stata in discussione la questione del reintegro per il licenziamento discriminatorio, l’emendamento non ne parla”. “Leggete delega e emendamento, lì c’è scritto quello che pensa il Governo. Poi vedremo nei decreti attuativi”. Così Poletti aveva risposto alla domanda se sarà eliminato l’art.18. Il ministro ha precisato che sull’emendamento del Governo “si sono esercitati con molte interpretazioni, alcune legittime altre fantasiose”. Poi ha spiegato, riguardo alle interpretazioni estreme, che “quando si prevedono gli estremi non ci si piglia mai, gli estremismi non corrispondono alla sostanza”.
LA SEGRETERIA DEL PD, TUTTE LE DELEGHE
Il vicesegretario Lorenzo Guerini prende la delega sull’organizzazione. Filippo Taddei aggiunge alla competenza sull’economia quella sul lavoro. La new entry Valentina Paris, esponente dei Giovani turchi, si occuperà di enti locali. Sono alcune delle novità della segreteria del Partito democratico, che è stata riunita questa mattina da Matteo Renzi per l’assegnazione delle deleghe ai componenti. Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini restano vicesegretari: alla prima, inoltre, la competenza sulle Infrastrutture, al secondo sull’organizzazione.
Enzo Amendola eredita gli Esteri da Federica Mogherini. E ancora: a Lorenza Bonaccorsi la Cultura e il Turismo; a Chiara Braga l’Ambiente; a Micaela Campana il Welfare e il Terzo Settore. Ernesto Carbone ha la delega alla P.A., Innovazione e Made in Italy; Emanuele Fiano alle Riforme istituzionali e la Sicurezza; Stefania Covello al Mezzogiorno; Sabrina Capozzolo alle Politiche Agricole; Andrea De Maria alla Formazione; David Ermini alla Giustizia. Francesca Puglisi su Scuola, Università e Ricerca; Alessia Rotta sulla Comunicazione; Giorgio Tonini su Federalismo, Territorio, Europa.
“Spero che” la legge elettorale “venga calendarizzata la prossima settimana. E’ una priorità”. Lo dice il premier Matteo Renzi a chi gli domanda se l’incontro di ieri con Silvio Berlusconi sia stato risolutivo sulla legge elettorale.
L’ipotesi di un ingresso di FI nel governo “è stata esclusa anche dal premier in modo chiaro e netto. I rapporti con FI sono determinati da accordi sulle riforme istituzionali. Noi siamo al governo, loro all’ opposizione”. Così risponde il vicesegretario Pd, Serracchiani, a chi la interpella dopo l’incontro Renzi-Berlusconi. “Noi siamo al governo e abbiamo l’onore e l’onere della proposta politica. Andiamo avanti confidando che su alcuni temi si possa trovare una convergenza più ampia non solo con Forza Italia, ma con tutta l’ opposizione”, aggiunge Serracchiani.