Più aumentano i prezzi, più la tenuta sociale inizia a vacillare. Questo può essere un problema, specie se all’orizzonte ci sono una serie di appuntamenti elettorali, come quelli previsti nel 2024. Un maggiore costo della vita rischia di ampliare il divario non solo tra le famiglie, ma anche tra le economie globali, in particolare tra quelle avanzate e quelle emergenti, rendendole così più vulnerabili al rischio sociale.
Nel suo ultimo studio, Allianz Trade ha voluto misurare l’andamento di questa vulnerabilità. Attraverso l’Indice di Resilienza Sociale (SRI), la ricerca ha individuato un aumento del valore relativo alla vulnerabilità complessiva tra i 185 Paesi analizzati.
L’aumento dei prezzi e il maggior rischio sociale: l’analisi di Allianz Trade
Combinando 12 indicatori di misurazione economica e sociale, l’SRI di Allianz Trade, leader globale dell’assicurazione sui crediti alle imprese, ha registrato un calo di 2,1 punti, andando così a 43,6 punti complessivi, contro i 45,7 registrati a dicembre 2021. Il calo della Resilienza Sociale indica infatti un aumento della vulnerabilità al rischio sociale: più ci si avvicina allo 0, più il rischio aumenta.
Come si può vedere dal grafico, nei paesi emergenti in Europa la situazione è stabile, addirittura nei paesi latinoamericani c’è stata una ripresa rispetto al tracollo registrato a dicembre 2021. Per quanto riguardano invece le economie avanzate, dopo la ripresa post-pandemica del 2021, si registra un calo simile a quello di giugno 2020.
Come segnala il report, il perché di questo calo sembra sia determinato da tre fattori:
“[…] svalutazione dei mercati emergenti, aumento dei costi di importazione del cibo e del carburante in percentuale al PIL e calo della partecipazione complessiva alla forza lavoro“.
A questo si aggiunge anche la differenziazione delle risposte adottate dai diversi paesi nell’affrontare l’inflazione e la crisi energetica dovuta alla ripresa post-pandemica e alla crisi russo-ucraina. Allianz Trade registra i maggiori aumenti del rischio sociale per i paesi importatori netti di cibo e benzina,
“[…] perché sono quelli più in difficoltà a controllare la propria stabilità alimentare, specialmente se anche la valuta nazionale è storicamente debole“.
Non si può dire lo stesso per i paesi esportatori di materie prime, che anzi registrano un aumento della resilienza sociale, con gli Emirati Arabi Uniti che balzano all’11esimo posto in classifica, e il Qatar, arrivato in 17esima posizione.
Il caso dell’Italia
L’Europa in sé è rimasta sostanzialmente stabile. Durante la pandemia i prezzi di cibo e carburante sono rimasti nella norma, anche grazie ai massicci stimoli fiscali. Ma questa coesione sociale rinnovata durante la pandemia non sembra sia andata avanti: “[…] mentre lo stimolo fiscale è rimasto sostanziale nell’ultimo anno la spesa sociale in percentuale del PIL non è aumentata.“. Abbiamo da una parte paesi come la Danimarca (stabile a 82,7 punti), Finlandia, Svizzera, Islanda e Irlanda. Dall’altra, paesi che invece hanno subìto un calo di resilienza sociale. E oltre alla Germania e alla Svezia, scese rispettivamente al 9° e 15° posto, si segnala un trend negativo anche per l’Italia.
Sebbene il Bel Paese sia salito di 3 posizioni, raggiungendo così la 31esima posizione, rimane ad oggi il fanalino di coda tra i maggiori paesi UE, posizionandosi sotto la Polonia. Il motivo di questo calo dell’SRI sembra sia dovuto dalla “[…] bassa partecipazione al lavoro in diverse regioni e per genere e la crescita del Pil.“. Per Allianz Trade, il PIL ha avuto un riavvio post-pandemico a ritmo accelerato rispetto ai partner europei, ma ora rischia di ridursi nei prossimi trimestri, “[…] di pari passo alla capacità di finanziare famiglie e imprese.“. In effetti, altri indicatori confermano l’andamento decisamente non positivo dell’economia italiana, in primis i redditi reali delle famiglie. Di contro però, a livello sociale, si nota invece un malcontento più contenuto. Se si intendono le manifestazioni pubbliche e/o le dimostrazioni anche violente di discontento, la frequenza di questi eventi “[…] si è ridotta del 56% nei primi nove mesi del 2023 rispetto alla media degli anni 2019- 2022.“.
Il rischio elettorale nei paesi avanzati
Tralasciando il caso italiano, in generale la conflittualità nei paesi avanzati è in netto aumento, e questo può essere un problema in vista degli appuntamenti elettorali del 2024, tra cui l’elezione del Presidente degli Stati Uniti. A essere precisi, praticamente tre quarti del PIL globale andranno alle urne nel 2024: oltre agli USA, sono previste anche le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo e del governo indiano. Menzione speciale va fatta anche per paesi come Senegal e Ghana, che denotano un rischio sociale già elevato e un recente aumento dei disordini, che può essere d’intralcio a investimenti privati necessari per le infrastrutture.
È indubbio che, laddove migliori la resilienza sociale, vi è anche maggiore partecipazione civica e maggiori capacità politiche di gestire la cosa pubblica, e così anche il progresso tecnologico. Si pensi alla sola rivoluzione dell’intelligenza artificiale, che potrebbe portare alla perdita di posti di lavoro: pure i produttori di AI come Elon Musk si sono mostrati perplessi in merito al loro avanzamento.
Sarà comunque inevitabile da parte delle economie il doversi adattare al progresso tecnologico. Ma a preoccupare sono anche le tensioni globali in capo all’approvvigionamento di cibo ed energia. Come già anticipato, l’inflazione globale nel 2022-2023 ha portato ad un aumento dei prezzi in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi importatori netti di prodotti alimentari. A sua volta ha portato le famiglie a dover contenere le spese, contribuendo così al rallentamento economico, e innescando un aumento della disoccupazione. Fin quando l’inflazione non tornerà stabile, tutto ciò potrebbe confermare o ribaltare l’esito delle prossime politiche.