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Aumento Iva, governo cerca soldi per evitare altra stangata

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ROMA (WSI) – Il dilemma è: se non voglio aumentare l’Iva, dove prendo i soldi? L’innalzamento dell’aliquota ordinaria di un punto – dal 21 al 22 per cento a iniziare dal primo luglio – dovrebbe produrre un gettito di 3 miliardi, ma potrebbe anche sortire l’effetto diametralmente opposto, deprimendo al punto tale i già languenti consumi, da indurre un gettito negativo di almeno 300 milioni secondo i calcoli di Confesercenti. Al danno di immagine politica si sommerebbe la beffa di perdere anziché incassare.

La questione ha un che di drammatico: se aumentiamo l’Iva rischiamo di contrarre i consumi e non incassare nulla oltreché «incrementare ulteriormente la sfiducia dei cittadini» come ha detto il viceministro dell’Economia Luigi Casero . Se non la aumentiamo abbiamo un buco certo di bilancio da dover sanare.

Il governo Letta eredita, in realtà, il compito ingrato di dover adempiere ad un incremento d’imposta deciso nell’ultima manovra del governo Berlusconi (agosto 2011). Si decise, allora, di portare l’Iva dal 20 al 21 per cento da settembre di quell’anno e di fissare un altro balzello – per l’appunto – nel gennaio 2013 (poi fatto slittare al luglio prossimo).

Ma nel frattempo è passata molta acqua sotto i ponti. Alla fine del 2011, in effetti, l’aumento dell’imposta, pur molto contrastato dai commercianti, fu riassorbito in una logica di riduzione dei prezzi e, sostanzialmente, non creò danni di forte impatto.

Ma con l’anno a venire – il 2012 – le cose si misero male, il decreto Salva Italia impose una bella cura dimagrante agli italiani e i consumi crollarono – letteralmente – del 4,3% che, in termini assoluti, vuol dire 40 miliardi di euro in meno spesi dalle famiglie, con relativa ricaduta sul gettito Iva.

Ora – dice l’analisi di Confesercenti – si stima un ulteriore calo dei consumi del 1,6% per l’anno in corso (pari a 13 miliardi di controvalore) e si calcola che l’effetto – tra diretto e psicologico – di un ulteriore balzo dell’Iva aggraverebbe la situazione, producendo – ed è questo il dato saliente – una riduzione del gettito complessivo di 300 milioni, come si diceva.

Altro che incremento di tre miliardi! E questo considerando che l’aliquota ordinaria si applica a comparti come calzature-abbigliamento, elettrodomestici e mobili, trasporti e carburanti, che da soli costituiscono oltre la metà della base imponibile e i cui consumi sono scesi nel 2012 – rispettivamente – dell’8, del 4 e del 7 per cento.

Ma allora – è il punto – come può il governo recuperare i tre miliardi di cui ha comunque bisogno? Qui le ricette divergono. Una è di fonte politica, e viene dall’altro viceministro dell’Economia, il democratico Stefano Fassina, secondo il quale basterebbe alzare la tassazione sulle case di lusso, come peraltro ribadito anche dal presidente della Regione Toscana Enrico Rossi: basterebbe evitare di eliminare l’Imu per tutti i proprietari di prima casa, ricchi compresi e portare a 450 euro la detrazione.

Si esenterebbero così 85% delle famiglie e recupererebbero – invece – almeno due dei tre miliardi necessari per l’Iva. Ma l’ipotesi è stoppata dal capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta: «Ricordo al viceministro Fassina che senza una riforma complessiva della tassazione sulla casa qualsiasi ipotesi di rimodulazione dell’Imu è non solo impossibile ma soprattutto ingiusta».

L’altra ricetta viene proprio da Confesercenti: i tre miliardi necessari – dice la Confederazione – si trovino altrove «tagliando le spese come si può e si deve», per esempio semplificando «le rappresentanze istituzionali» e riducendo «con decisione la corruzione denunciata da tempo immemorabile dalla Corte dei Conti e il fenomeno del sommerso». Ma tutto questo – è il punto – produrrebbe tre miliardi certi entro l’anno? Una soluzione non penalizzante va comunque trovata, come ha ribadito il ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato, e il leader del Pd Epifani ha concordato: «Capisco la cautela del Governo ma sarebbe necessario che l’aumento dell’iva non si concretizzasse».

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