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(WSI) – La sottrazione del processo al sostituto Luigi De Magistris mediante avocazione riporta alla memoria analoghe pratiche in uso negli anni sessanta-settanta. A quel tempo, quando il potere politico voleva liberarsi di magistrati scomodi come Gerardo D’Ambrosio o Emilio Alessandrini, ostinati nella ricerca della verità sulle trame eversive e sulle stragi, favorite all’interno delle istituzioni e dei servizi asserviti al potere, faceva ricorso a Procuratori Generali compiacenti, quasi sempre romani; costoro sollevavano inesistenti conflitti di competenza con i magistrati milanesi per sottrarre ai titolari processi scottanti e trasferirli a Roma, ove venivano regolarmente insabbiati a scapito della giustizia e della verità e a vantaggio dei colpevoli.
Anche allora lo strumento iniziale dell’imbroglio era l’avocazione: un Procuratore Generale di un processo inventato a Roma per fatti inesistenti connessi con quelli milanesi sollevava conflitto di competenza con altri Pm. Nel conflitto, complice qualche giudice in Cassazione, aveva la prevalenza sempre la magistratura romana, che una volta ricevuto il processo, lo narcotizzava o lo affidava a mani amiche che provvedevano a condurre le indagini secondo la volontà del potere e senza disturbare il manovratore. La prassi ignobile iniziò con la rapina del processo per la strage di Piazza Fontana favorita da un’infausta avocazione. Il processo da Milano passò a Roma, da qui venne dirottato a Catanzaro per poi tornare a Roma, dove Vittorio Occorsio aveva imboccato la strada giusta ma fu ucciso; e, dopo oltre vent’anni di indegni balletti, ritornò nella sua sede naturale di Milano. Dove vennero rinviati a giudizio alcuni dei presunti responsabili. Nel frattempo, erano morti alcuni magistrati che avevano capito come erano andate le cose: tra questi Emilio Alessandrini e lo stesso Occorsio, assassinati, erano deceduti molti testimoni importanti, ed il commissario onesto di Padova che indagava sulla pista nera venne rimosso. La stessa procedura venne seguita a Roma per il processo contro Licio Gelli che aveva buoni rapporti con alcuni terroristi, come Paolo Aleandri, che me lo raccontò, ma anche con Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Vito Miceli, capo del SID, con il ministro Gaetano Stammati e tanti altri. Il processo venne sottratto al pubblico ministero milanese Gherardo Colombo e affidato a Roma nelle mani di chi lo insabbiò affermando che la P2 era una specie di associazione filantropica di nessun pericolo per la collettività. A quel tempo la Procura romana era notoriamente diretta da magistrati scelti da Andreotti e di sua totale fiducia. Poi venne finalmente l’istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura e la nomina dei magistrati al vertice delle Procure fu fatta nel rispetto dei meriti e con le garanzie di indipendenza e imparzialità stabilite dalla Costituzione.
Nel frattempo, con il nuovo codice di procedura penale del professor Giuliano Vassalli, l’avocazione venne del tutto svuotata della sua portata di strumento lesivo della indipendenza dei magistrati, compresi i Pm, e mantenuta solo per casi tassativi ruotanti attorno alla inerzia del magistrato del Pm; se ad esempio un pubblico ministero, indagando per un delitto gravissimo di corruzione o criminalità organizzata o terrorismo, non provvede, nonostante le prove, a iniziare l’azione penale, come è suo dovere, il Procuratore Generale interviene per sostituirsi al magistrato inerte ed insabbiatore. L’avocazione del procedimento condotto da Luigi De Magistris da parte della Procura Generale di Catanzaro ci riporta a quel triste passato e ci preoccupa enormemente: l’influenza nefasta dell’esecutivo sulle inchieste giudiziarie più delicate é pesante. Venendo al fatto di oggi, mentre era in corso un’indagine contro Romano Prodi e Clemente Mastella, per episodi di corruzione per milioni di euro – che sarebbero avvenuti quando il Presidente del Consiglio era presidente della Commissione Europea – é stata dapprima avviata dal Guardasigilli una procedura con richiesta di trasferimento di De Magistris per illecito disciplinare, e poi una procedura di avocazione del procedimento da parte del Procuratore Generale. In altre parole, non essendo stato possibile sottrarre il processo a De Magistris con il trasferimento del magistrato ad altro ufficio, richiesta di fatto bocciata dal Csm, si é pensato di trasferire il processo in altre mani.
Costoro, solo per orientarsi, avranno bisogno di qualche anno di tempo, data la mole di materiale sequestrato dal sostituto di Catanzaro. E dunque l’appello del presidente della repubblica a proseguire le indagini verrà vanificato nei fatti, con tutta la buona volontà di chi riceve gli atti. Intanto al magistrato De Magistris non é stato possibile addebitare alcuna strumentalizzazione politica poiché in quell’affare, che coinvolge Mastella e Prodi, sono stati indagati anche alcuni esponenti del centro destra come Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, Giuseppe Galati e lo stesso Presidente della Giunta regionale calabra Agazio Loiero.
Ma, attenzione: quale é il fatto che é oggetto della inchiesta di De Magistris? L’appropriazione di miliardi da parte di un comitato di affari di cui avrebbero fatto parte i predetti personaggi. La stampa ci ha correttamente informato che contro gli indagati non c’erano solo i tabulati delle telefonate passate attraverso i cellulari di Prodi, ma anche le accuse di un testimone importante, un politico detenuto, ex consigliere regionale calabro, che assistette ad una telefonata fatta dal faccendiere Antonio Saladino a Romano Prodi. Durante il colloquio si sarebbe concordato che una volta formalizzata la candidatura di Prodi come presidente del consiglio alle elezioni politiche del 1996, Saladino si sarebbe messo a sua disposizione per procurargli voti, come effettivamente fece. In cambio avrebbe avuto dal presidente della commissione Prodi un aiuto per ottenere i finanziamenti miliardari dell’Unione Europea per diverse iniziative avviate nella Regione Calabria. Saladino si sarebbe aggiudicato diversi appalti per milioni di lire e poi di euro senza partecipare a gare.
Domanda: ma come si può risollevare la Calabria dalla crisi che l’attanaglia se i soldi dell’Unione Europea, sempre più distratta ed assente, anziché finanziare opere pubbliche e private, affluiscono nelle tasche di politici di maggioranza ed opposizione? E se un magistrato che cerca di portare alla luce le frodi comunitarie viene crocifisso anche con la complicità di magistrati asserviti al potere? Ma andiamo avanti cercando di spiegare almeno in parte questo grande imbroglio, senza attendere i tempi biblici dei processi che si sta cercando di insabbiare. L’avocazione, cioé la sottrazione del processo a De Magistris, é stata decisa per motivi infondati che sono stati criticati da Gerardo D’Ambrosio, vittima a suo tempo di clamorose avocazioni e sottrazioni di processi; ma l’avocazione é stata deplorata anche dal giurista Franco Cordero, titolare di Procedura penale alla Sapienza. D’Ambrosio ha ritenuto pretestuosa la motivazione di “incompatibilità del procedimento” che non spiega niente, ed anzi alimenta le inquietudini. L’intervento del ministro con la richiesta di trasferimento e l’avocazione del processo (una volta fallita la manovra del trasferimento), sono intervenute, guarda caso, mentre l’indagine stava per essere conclusa. Osserva D’Ambrosio che “l’errore” del ministro – ma si tratta di errore o di qualcos’altro? – é stato proprio quello di promuovere l’azione disciplinare contro chi, dal giugno 2007, indagava sulla persona del ministro stesso. E costui solo in seguito ha disposto l’azione disciplinare: e dunque la realtà non é quella che qualcuno ci vuole propinare sulla stampa: la notizia che coinvolge Mastella e l’ineffabile Prodi, era comparsa sulla stampa fin dal giugno 2006, poiché il guardasigilli é intercettato sul telefono di Antonio Saladino. E dunque l’iscrizione del ministro nel registro degli indagati, al quale sono seguite le dichiarazioni di solidarietà di Prodi (e che doveva fare Prodi, se non solidarizzare, essendo coinvolto nello stesso affare?), non é stata la stizzosa e strumentale reazione all’inizio dell’azione disciplinare da parte del ministro, ma un atto doveroso maturato prima della richiesta di trasferimento con il procedere delle indagini. E si é voluto fare credere il contrario.
Quanto al problema affrontato con grande obiettività da Cordero su chi deve indagare quando tra i responsabili del reato ipotetico risultino il presidente del consiglio o ministri, essendo i fatti commessi nell’esercizio delle funzioni di governo, la risposta é semplice: la legge costituzionale 16 gennaio 1989 stabilisce che “il procuratore della Repubblica, omessa ogni altra indagine” nei 15 giorni dalla notizia trasmette gli atti al collegio istituito presso il tribunale del capoluogo del distretto competente: collegio che svolge le funzioni del pubblico ministero o del Gip, in questo caso Roma. Ma il punto di fatto non esaminato da Cordero é proprio questo: i reati sono stati commessi quando Prodi era ministro, o quando invece era, come sembra accertato, presidente della commissione, e Mastella non era ancora titolare della Giustizia, per il semplice fatto che non esisteva il governo Prodi? Stando alle intercettazioni telefoniche sull’apparecchio di Saladino ed alle dichiarazioni del collaboratore, i fatti sarebbero avvenuti fuori dall’esercizio delle funzioni ministeriali; ed allora la competenza sarebbe di De Magistris e non del collegio per i reati ministeriali, cui gli atti sono stati mandati: se fosse stato diversamente, perché Prodi e Mastella non avrebbero eccepito mai l’incompetenza del sostituto De Magistris? Il quale non si é lasciato intimidire neanche dai proiettili inviatigli da inesistenti Brigate rosse, in sintonia con analoga intimidazione fatta ai danni del gip Clementina Forleo. Che ha avuto il coraggio di non lasciarsi blandire da promesse di prebende e di non essere farsi neutralizzare dalle minacce attuate a mezzo telefonate silenziose e proiettili di improbabili brigatisti.
Intanto lo scandalo delle scalate bancarie che sono costate frodi di miliardi di euro a milioni di risparmiatori é stato insabbiato con gioia dei responsabili che restano abbarbicati alle loro poltrone come l’edera che “lecca la scorza dell’olmo tutore” (Cirano de Bergerac). In ogni caso – diciamo la verità – ce ne sarebbe abbastanza per chiedere le dimissioni di Prodi e di un paio di ministri per i gravissimi scandali che sono già venuti alla luce. Anche se questo ci dovesse costare un ritorno di Berlusconi: poiché se la situazione rimanesse quella che é – con gli stessi soggetti alla guida del vapore – una riscossa del centro sinistra contro Berlusconi diventerebbe ancora più difficile. Ma questo lo sa Walter Veltroni, o pensa solo all’ammodernamento e alle riforme della Costituzione?
Clementina come Geremia
Le vicende di De Magistris e Forleo evocano alla mia memoria la drammatica e dimenticata storia di un altro coraggioso magistrato, Giuseppa Geremia, che nel 1996 indagava sullo scandalo della Cirio Bertolli De Rica e sull’alta velocità: scandalo che denunciai inutilmente a Prodi ed alla Commissione antimafia nel 1996 dopo un’indagine magistrale svolta dalla Criminalpol e dall’Arma dei Carabinieri su mia richiesta. Per quella inchiesta io fui sottoposto ad attacchi concentrici di destra, che chiese la mia rimozione come relatore, e di sinistra, che non mi difese. Fui isolato in Commissione e la mia relazione non venne mai discussa (guarda caso la legislatura s’interruppe bruscamente dopo due anni senza che ce ne fosse alcuna ragione seria). E poi venne definitivamente affossata in seguito alla mia sconfitta decisa dalla camorra dei casalesi interessata ai lavori dell’Alta velocità sulla tratta Napoli-Roma.
Le mie residue speranze che giustizia fosse fatta dal Pm della capitale Giuseppa Geremia andarono deluse. Costei aveva scoperto, dai documenti sequestrati dalla Guardia di finanza, che il garante dell’Alta Velocità era Romano Prodi, mentre Lorenzo Necci, per coinvolgere tutti quelli che contavano, inventò un “comitato nodi” dell’Alta Velocità composto dalla senatrice Susanna Agnelli, dal professor Carlo Maria Querci, dal dottor Giuseppe De Rita e dall’architetto Renzo Piano: la spesa preventivata era di 9 miliardi di lire.
Il collegio dei revisori dei conti fece osservazioni che non ebbero risposte. Il 25 novembre, al termine di un’inchiesta serrata fondata anche sulla perizia contabile di ben 13.000 pagine svolta dal professor Renato Castaldo, il Pm Geremia, con l’avallo del Procuratore capo Michele Coiro, chiese il rinvio a giudizio per abuso di ufficio a carico di Romano Prodi, quale ex presidente dell’Iri. E di Carlo Saverio Lamiranda, in quanto legale rappresentante della Fisvi che aveva acquistato la Cirio senza avere una lira. Lamiranda sarebbe stato in seguito incriminato e condannato per bancarotta e frode comunitaria.
Nel frattempo il governo presieduto da Prodi approvò, con l’appoggio del ministro della Giustizia suo difensore, una nuova legge che modificava in senso restrittivo l’abuso in atti d’ufficio. Prodi venne assolto perché il fatto non sussiste; ma la legge era ad personam.
Non é finita qui. L’inchiesta sulla Cirio era appena cominciata che la dottoressa Geremia subì – sarà lei stessa a raccontarmelo – insulti telefonici, minacce, chiamate silenziose ed intimidazioni ad opera di ignoti. Esattamente come é accaduto a Luigi De Magistris e a Clementina Forleo. Nel frattempo la Geremia ridà slancio all’inchiesta sull’Alta Velocità con dentro l’affare Nomisma che, secondo i magistrati di La Spezia, era stato insabbiato dal Pm Giorgio Castellucci. Le minacce e gli insulti si intensificano: Geremia ha paura, non per sé ma per l’anziana madre con cui vive da sola. Gli ignoti vigliacchi intensificano le minacce e gli insulti. Il movente si cela – lei intuisce – in quella inchiesta scottante che toccava santuari intoccabili. Geremia era ancora più preoccupata perché il suo telefono era noto solo a persone delle istituzioni. Infine decide di denunziare la tortura cui é sottoposta al commissariato di Polizia di Piazzale Clodio. Informa il procuratore della Repubblica Coiro, che le dà solidarietà ed avallo. Ma una tempesta si addensa sulla testa di Coiro: il Csm lo accusa di avere rapporti con il giudice Squillante, come se il rapporto istituzionale tra Procuratore Capo e Capo dei giudici delle indagini preliminari fosse vietato dalla legge e non necessario. Sta di fatto che dopo avere raccolto lo sfogo della Geremia, Coiro é costretto a lasciare la Procura di Roma. Da segnalare che Coiro era un esponente di magistratura democratica. E viene relegato alla direzione degli uffici di detenzione e pena. Poco dopo Coiro muore di crepacuore. «La sua morte – mi confidò Geremia – é stata un duro colpo per me. Mi ha sempre lasciato libertà di azione nella inchiesta sulla Cirio. Non glielo hanno perdonato. Lo hanno costretto a lasciare la Procura di Roma sette mesi prima che andasse in pensione».
Dopo la richiesta di rinvio a giudizio, alla udienza preliminare del 15 gennaio 1997 il Gip Eduardo Landi decide di non decidere. E rinvia la decisione alla udienza del 28 febbraio 1997. Perché? Semplice! Geremia, preoccupata dalle minacce che potevano travolgere l’anziana madre, decide di chiedere il trasferimento in Sardegna. Vorrebbe però concludere l’inchiesta sulla Cirio: non le sarà consentito. La motivazione della sentenza assolutoria di Prodi, anziché essere depositata nel termine di legge del 23 gennaio 1998, giunge sul tavolo della Geremia il 9 febbraio 1998, due giorni dopo che la stessa Geremia era stata trasferita alla Procura Generale di Cagliari. E quindi non aveva potuto presentare impugnazione – così mi disse – contro quella assoluzione. Sullo scandalo calò un silenzio tombale, rotto solo dalla mia denunzia nel libro Corruzione ad Alta Velocità.
Oggi si ripropongono scenari simili, e la giustizia e la verità rischiano un’ennesima sconfitta. O c’é speranza che giustizia sia fatta e che il Csm e la Procura Generale della Cassazione ristabiliscano la legalità violata?
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