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Azionario ko? La strategia per resistere

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MILANO (WSI) – A guardare i risultati di ieri, le Borse non sembrano un buon posto dove stare. E invece molti esperti sono convinti che, una volta che il mercato abbia accettato la nuova piega delle cose, il miglior rapporto tra rischio e rendimento si possa trovare proprio sui listini azionari. Perché le obbligazioni – anche se le cose andranno bene e la risalita dei tassi sarà lenta e non traumatica – hanno dato molto e adesso andranno incontro ad una sorta di dieta.

Dopo il rally che ha portato Wall Street e Francoforte a nuovi massimi, l’entusiasmo si è raffreddato. E oggi molti che sostengono la necessità di cogliere le opportunità azionarie hanno comunque ridotto la loro esposizione, in attesa che la situazione si calmi un po’.

Perché le azioni dovrebbero far bene? Perché la lunga crisi ha costretto le aziende, a tutte le latitudini, a fare pulizia e ad affrontare la crescita difficile con pochi debiti e pochi sprechi. La Fed ha annunciato la fine degli stimoli economici in vista della ripresa, che ancora sembra un miraggio in Europa, ma che negli Stati Uniti potrebbe essere a portata di mano.

Se hanno ragione i numerosi fan delle azioni, prima o poi il mercato dovrebbe abbandonare i titoli molto difensivi (per esempio quelli di largo consumo e i farmaceutici) per ricominciare a comprare le banche, le materie prime e l’industria, cioè i titoli delle aziende più sensibili ad una rimessa in moto del ciclo economico. Chi sta pensando alla manutenzione di un portafoglio con un’ottica che vada al di là di qualche settimana deve per prima cosa decidere quanto si sente ottimista rispetto a un cambio di clima economico.

I Btp e i Bonos spagnoli, la provincia debole dell’Europa, hanno subito in modo violento la reazione offesa dei mercati all’avvertimento della Federal Reserve. La differenza di rendimento tra Btp e Bund decennali si è aperta fino a sfiorare i 290 punti e il rendimento è tornato sopra il 4,50%, superando di oltre trenta centesimi il livello medio dei giorni scorsi.

I prezzi, quindi, da tempo posizionati ben sopra 100 per tutte le scadenze hanno cominciato una retromarcia che potrebbe riportare le quotazioni sotto il valore nominale se la burrasca durerĂ  un poco.

Che cosa è meglio fare? Che l’aria per il mercato obbligazionario non fosse più quella dei guadagni a due cifre ottenuti nell’ultimo anno e mezzo, è noto da tempo. Parlando in generale di obbligazioni (e quindi non solo di Btp) gli esperti si aspettano per il prossimo anno rendimenti che difficilmente potranno superare il 2-3%.

A questo punto, visto che la Fed ha fatto chiarezza, molti potrebbero accorciare con meno scompostezza di quella vista ieri la vita media del portafoglio, vendendo nei momenti opportuni i titoli molto lunghi e quindi più esposti a notevoli crolli di prezzo in caso di risalita dei tassi. Nel caso dei Btp la sfida è complessa: i nostri titoli hanno da tempo un rendimento elevato perché il rischio Paese legato alla crisi del debito ci aspetta sempre al varco. Finora si è guadagnato sul miglioramento dell’affidabilità e sulla chiusura dello spread. Un’eventuale risalita globale dei tassi complicherebbe ulteriormente il panorama. Ma chi ha comprato per tenere fino a scadenza non deve preoccuparsi.

La «sindrome di Zurigo» sta per colpire il cambio euro-dollaro? Nella città svizzera ha sede la Banca centrale del Paese, che anni fa ha deciso di porre un tetto all’apprezzamento del franco sull’euro. Da allora, dopo qualche sali e scendi, le quotazioni sono rimaste inchiodate poco sopra 1,20 franchi per euro. Sembra quasi un cambio fisso, regolato da Zurigo.

Adesso, con le dovute differenze del caso, una cosa simile sembra succedere anche lungo l’Atlantico: da qualche mese il cambio euro-dollaro oscilla intorno a quota 1,30. E’ una quotazione relativamente tranquilla nonostante un mercato altrimenti in deciso movimento.

Negli stessi Stati Uniti e in questi stessi mesi, mentre l’euro-dollaro «dormiva», Wall Street ha toccato i massimi storici per poi ripiegare (ieri pesantemente), i tassi d’interesse reali sono tornati per la prima volta in territorio positivo e il mercato immobiliare – che scatenò la crisi nel 2007 – ha ripreso a «ruggire» come ai tempi d’oro.

In Europa, pure, la situazione si è rivelata quantomeno «vivace»: Borsa tedesca ai massimi, Borse mediterranee di nuovo scese vicino ai minimi; e ancora: rendimenti pubblici meridionali prima a livelli incredibilmente bassi, poi di nuovo in tensione.

Ebbene, in tutto questo l’accoppiata 1,20 (franchi per euro) e 1,30 (dollari per euro) è rimasta tranquilla e a suo modo inossidabile. Solo lo yen, ma per motivi prettamente interni al Giappone, ha fatto le bizze. Che cosa succederà ora? Secondo diversi analisti, sul fronte valutario occidentale ci sarà ancora per un po’ «calma piatta». A meno che la Bce non entri in gioco.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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