Economia

Azionario: troppi tori sul mercato, ed è alert da indice della paura

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Ottimismo, forse troppo. Michael Brush, commentatore finanziario dall’attitudine contrarian, si aspetta nei prossimi due mesi una correzione del mercato azionario – il riferimento è all’indice Usa S&P 500 – una previsione a breve termine che sembra trarre gran parte delle sue ragioni dalla sensazione che, ultimamente, la fiducia degli investitori sia un po’ superiore a quanta non sia giustificata.

Assieme a Brush, anche il chief investment strategist di Robert W. Baird, Bruce Bittles, crede che una “correzione del 5-10%” sia probabile . Ecco alcuni degli elementi che dovrebbero far pensare a un momentaneo scossone verso il basso.
Come ricordato all’inizio, “parte del problema è che molto ottimismo è entrato nei mercati nelle ultime tre settimane, e ora lo consideriamo piuttosto estremo”, dice Bittles. Basti dire che, secondo Investor Intelligence, lo spread fra “orsi” e “tori”, tra chi punta al rialzo e chi sul ribasso dei titoli, ha raggiunto i massimi dal febbraio 2015 e con grande maggioranza di questi ultimi sui primi (55% contro 20%).

Anche l’indice “della paura”, il Vix, viaggia a livelli che indicano una certa “compiacenza” per gli investitori in un range fra 11 e 13 per la maggioranza di agosto. Anche qui, secondo Brush, questo potrebbe comportare un segnale in grado di precedere fasi di ribasso.
Restano poi due incognite forse sottovalutate: le elezioni Usa,e le prossime mosse della Fed.

Nel primo caso sarebbe bene non dare per scontato alcun esito, e comunque tenere a mente che la percezione dei mercati sul risultato potrebbe variare con tutti gli scossoni che ne deriverebbero. Per quanto riguarda un possibile rialzo dei tassi della Fed, fatto che potrebbe certo spaventare gli investitori, sembra al momento rinviato; eppure non si può escludere come dati macro particolarmente positivi possano “gettare nel panico gli investitori in merito a un rialzo anche precedente alle elezioni; che questo si verifichi davvero oppure no”. La Fed, infatti, ha dichiarato di essere “dipendente dai dati” quanto lo è sempre stata.