Le corse agli sportelli, e i conseguenti fallimenti di banche, a cui stiamo assistendo in questi giorni negli Stati Uniti, evocano facilmente agli investitori la triste storia di Northern Rock nel settembre del 2007. I risparmiatori preoccupati si stanno chiedendo se i loro soldi sono al sicuro e se si verificherà un contagio da Silicon Valley Bank, Signature Bank e Silvergate Bank come avvenuto in quell’occasione. Oltre a cosa accadrebbe se il loro istituto di credito fallisse e scattasse il cosiddetto “bail-in“.
Come ricordato in questo articolo, i depositi sono tutelati fino alla soglia di 250 mila dollari negli Stati Uniti e di 100 mila euro in Europa.
La soglia è più alta negli Stati Uniti perché la platea di correntisti è più diversificata rispetto all’Europa e si registra una percentuale maggiore di conti correnti “sostanziosi”. Secondo i dati della Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), l’agenzia del governo degli Stati Uniti responsabile della garanzia dei depositi bancari, alla fine del 2020 c’erano circa 8.200 miliardi di dollari di depositi bancari assicurati negli Stati Uniti. Di questi, circa il 27% (circa 2.200 miliardi di dollari) erano detenuti in conti correnti e risparmi con un saldo superiore a 250.000 dollari. Percentuale che, secondo i dati della Banca Centrale Europea, scende al 2% (circa 440 miliardi di euro) in Europa, sul totale di circa 22.200 miliardi di euro di depositi bancari del Vecchio Continente.
Altro aspetto da considerare è che gli americani sono più “abituati” ai fallimenti bancari.
Secondo la FDIC infatti dal 1° gennaio 2001 al 31 dicembre 2022 sono fallite un totale di 609 banche negli Stati Uniti, anche se non tutte di grandi dimensioni e private. Una media di 29 istituti all’anno, con un numero di fallimenti è stato molto superiore alla media nel quadriennio 2009-2012, mentre nei restanti 17 anni è stato molto inferiore.
In Europa invece la media scende a circa 10 istituti all’anno secondo i dati della Bce relativi al medesimo periodo e a 6 banche all’anno secondo i dati Eba relativi al sottoinsieme dell’Eurozona. Anche nel caso del Vecchio Continente i fallimenti si sono concentrati prevalentemente durante la crisi finanziaria globale del 2008 e a partire dalla crisi del debito sovrano europeo del 2010.
Questa maggior affidabilità delle banche europee può essere attribuita ai requisiti patrimoniali più rigorosi richiesti dalle autorità di vigilanza. Con la crisi del 2008 le istituzioni europee hanno accelerato il processo normativo e regolamentare, introducendo tante e qualificate misure di vigilanza prudenziale, allo scopo di rendere più difficile e raro il manifestarsi di nuove crisi.
Tra queste, nel 2016 erano entrate in vigore anche in Italia le nuove norme europee sul bail in, cioè il salvataggio interno (direttiva 2014/59/UE). Le nuove regole, previste dalla direttiva BRRD (acronimo che sta per Bank Recovery and Resolution Directive), impongono di gestire le crisi degli istituti di credito che minino la stabilità del sistema bancario e finanziario utilizzando risorse private, evitando così che il costo dei salvataggi gravi sui contribuenti e sul deficit. In altre parole lo Stato non può più intervenire direttamente nei fallimenti delle banche. Come per tutte le imprese private, in caso di crisi o di fallimento saranno i “proprietari” della banca, ovvero gli azionisti, i primi a pagare.
Come funziona il bail-in
Nel dettaglio, questa procedura non interessa tutti i soggetti allo stesso modo, ma segue uno schema e delle regole molto precise. Il bail-in prevede innanzitutto una gerarchia, che stabilisce che i primi ad intervenire in caso di default siano coloro che possiedono gli investimenti bancari più rischiosi, seguiti in caso di necessità dagli altri creditori, alcuni dei quali però sono sempre esclusi dalle procedure di bail-in. La gerarchia del bail-in segue questo ordine:
- Gli azionisti della banca;
- I possessori di titoli subordinati senza garanzia;
- I titolari di crediti non garantiti, ad esempio obbligazioni bancarie non garantite tra cui le obbligazioni senior unsecured;
- I correntisti con depositi oltre i 100 mila euro;
- Il Fondo interbancario di garanzia dei depositi.
A seconda dei casi, il bail-in può comportare la riduzione del valore delle azioni, fino al loro azzeramento, mentre chi possiede dei crediti nei confronti della banca può vederli svalutati oppure convertiti in titoli azionari. Il concetto alla base del bail-in è che siano i soggetti che scelgono di assumersi un grado di rischio più alto nei confronti della banca ad intervenire in modo più incisivo in caso di rischio di fallimento della banca stessa. In tal modo è possibile proteggere tutti quei soggetti che, per diversi motivi, risentirebbero maggiormente del fallimento bancario.
Chi è escluso dal salvataggio
Sono, quindi, esclusi dal bail-in tutti i conti correnti e i conti deposito inferiori ai 100 mila euro, che siano di proprietà di famiglie o piccole medie imprese. Questi risparmi, infatti, sono protetti dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (FITD), uno strumento salvagente al quale attingere in caso estremo, in modo che i risparmi dei più piccoli possano essere sempre tutelati. Sono quindi esclusi dalle procedure di bail-in bancari gli investimenti finanziari come:
- obbligazioni garantite (covered bond);
- titoli di Stato;
- fondi comuni ed ETF;
- SICAV (società di investimento a capitale variabile);
- strumenti assicurativi;
- titoli presenti nel dossier titoli, purché emessi da un istituto non coinvolto nel bail in;
- cassette di sicurezza e altre disponibilità conservate in banca;
- i conti deposito fino a 100 mila euro.