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Banca Progetto, sempre vicina a fintech e startup

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Dopo avere chiuso il 2020 con un utile di 12 milioni di euro Banca Progetto, la banca digitale specializzata in servizi per le piccole e medie imprese italiane e per la clientela privata, controllata dal fondo californiano Oaktree Capital Management, guarda con sempre più ottimismo al mondo del fintech con il quale ha chiuso numerose operazioni di partnership e di finanziamento.
Ne abbiamo parlato con l’amministratore delegato Paolo Fiorentino, banchiere di lungo corso con il quale abbiamo anche fatto il punto sul futuro del mondo bancario.

Dott. Fiorentino, recentemente avete concluso numerosi accordi e operazioni di finanziamento con aziende del mondo fintech. A cosa è dovuto quello particolare legame?

Con il mondo fintech noi ci muoviamo su due piani: quello commerciale e quello industriale. Banca Progetto è una realtà votata al digitale, quindi per noi è necessario capire come sfruttare al meglio le soluzioni tecnologiche sviluppate dal mondo fintech e come interagire con loro. Per noi l’utilizzo del fintech rappresenta una delle principali leve di sviluppo e di incremento di efficienza della banca. Siamo stati il primo istituto di credito italiano ad essere autorizzato da Banca d’Italia a lavorare in cloud con Amazon e questo ci permette di essere sempre connessi con i nostri partner del mondo fintech. Non è facile per un istituto bancario attrarre talenti provenienti dal mondo fintech e quindi è necessario creare alleanze con partner selezionati in una logica di ecosistema per accelerare nello sviluppo tecnologico.

Tra le partnership che abbiamo recentemente concluso c’è quella con modefinance, provider di informazioni finanziarie. Nell’ottobre dello scorso anno abbiamo finanziato la fintech Faire.ai, con la quale poi abbiamo firmato una partnership insieme alla piattaforma italiana di open finance Fabrick, allo scopo di lanciare l’instant lending. Inoltre, a gennaio abbiamo siglato una partnership con Digital On Things, società di consulenza che opera nel mondo Crm e data monetization e supporta la piattaforma di marketing Salesforce integrandone i servizi offerti.

Generalmente le startup sono alla ricerca di soci disposti a entrare nel loro capitale. Voi invece concedete loro dei finanziamenti. Come mai?

Banca Progetto si è specializzata nei finanziamenti alle Pmi italiane, con un focus particolare su quelle più innovative, che vengono quasi sempre servite in maniera inadeguata dalle tradizionali banche commerciali con tempi lunghissimi e procedure complicate. Come dicevo prima per noi è importante entrare in contatto con queste realtà tecnologiche perché cerchiamo anche di essere contaminati, grazie alla loro visione sul mondo digital. In questo ci aiuta anche il fatto che l’età media in Banca Progetto è di 35 anni. Tutto ciò ci ha spinto a credere e finanziare startup innovative focalizzate nel settore digitale, indipendentemente dal loro livello di maturità. Per mettere a punto queste operazioni, oltre ai tradizionali criteri di affidamento del credito, integriamo le nostre valutazioni qualitative sull’idea del business e la coesione del team.
Tra le Pmi tecnologiche che abbiamo recentemente finanziato c’è Helbiz – il cui amministratore delegato ha 32 anni – società specializzata nella mobilità sostenibile che presto si quoterà anche al Nasdaq, e Young, startup fintech che ha lanciato una piattaforma di trading in criptovalute e guidata da un a.d. che ha soli 23 anni. In questi casi guardiamo oltre i fondamentali dell’azienda e approfondiamo l’analisi di variabili che non sono presenti nei documenti come i bilanci. Generalmente a queste aziende eroghiamo finanziamenti a 72 mesi, garantiti dal fondo MCC con preammortamento. Si tratta di una forma tecnica di finanziamento che si affianca bene alla loro raccolta di nuovi capitali ed è perfettamente complementare.

 

Come raccogliete le risorse da erogare poi alle Pmi?

Grazie a un conto di deposito. Si tratta di un conto completamente digitale che consente di finalizzare il contratto in pochi minuti. Puntiamo tutto sulla customer experience e i risultati sono incoraggianti visto che circa l’85% dei potenziali clienti finalizza l’operazione consentendoci di raccogliere oltre 2 miliardi di euro.
Tra l’altro è in corso una promozione che i nostri clienti percepiscono come un chiaro vantaggio ovvero l’esenzione dal pagamento delle spese del bollo (promozione valida per chi apre il conto entro il 30 giugno 2021).
Effettuiamo la nostra raccolta in Italia, Spagna e Germania. Riusciamo ad essere competitivi nei rendimenti offerti anche perché non abbiamo costi di marketing.

 

Uno dei punti cardine del recovery fund sono i nuovi investimenti nel mondo digitale. Siete coinvolti?

Siamo spettatori di questo fenomeno. L’Italia ha un gap infrastrutturale enorme nel digitale ma nonostante questo, le Pmi italiane non stanno a guardare e stanno mettendo in cantiere nuovi investimenti anche in momenti delicati come quello attuale. Lo scorso anno abbiamo concesso quasi 1,5 miliardi di euro di finanziamenti e per il 2021 ci aspettiamo di concederne altrettanti. Noi siamo sempre accanto alle imprese. Dal punto di vista industriale le Pmi italiane sono campioni nel loro settore di riferimento, nel loro business. Quello che manca, proprio per le loro piccole dimensioni, è la capacità di pianificare la loro struttura finanziaria nel medio periodo. C’è quindi molto da fare su questo fronte, anche in tema di cultura finanziaria, per far comprendere agli imprenditori la necessità di diversificare le forme di finanziamento e di conseguenza i canali a cui possono attingere per espandere la loro attività.

 

In questi giorni si parla di rischi per il settore bancario per la possibile crescita dei default aziendali a seguito della pandemia. C’è un allarmismo eccessivo o ritiene che la situazione sia veramente critica?

Ritengo che il problema dei default sia limitato ad alcune aziende che operano nei settori più colpiti dalla crisi legata alla pandemia da Covid come quello del turismo e della ristorazione. Ci sono invece altri comparti dell’economia, come la grande distribuzione o la sanità, che sono andati invece molto bene. Ci sarà sicuramente un problema di qualità del credito ma per gli operatori finanziari specializzati non mi aspetto scenari biblici. Un altro fenomeno che invece mi aspetto è quello del consolidamento che avverrà in alcuni settori dell’economia. Ci saranno dei passaggi di mano di aziende anche a seguito del cambio generazionale dettato dalla necessità di rivedere alcuni modelli di business che devono evolversi per stare al passo con le nuove tecnologie digitali.

Ha parlato di svolta digitale per alcuni settori per tenere conto dell’impatto delle nuove tendenze tecnologiche. Secondo lei come saranno le banche del futuro?

Già da tempo i costi esorbitanti di legacy nei bilanci dei grandi gruppi non permettono più un’adeguata remunerazione degli azionisti. Ogni prodotto venduto da queste realtà è gravato di costi di struttura che li rendono poco profittevoli. Per il futuro da un lato vedo dei grandi gruppi globali che continueranno un processo di aggregazione per cercare di avere la massa critica necessaria per sostenere i costi di legacy, e dall’altro lato ci saranno una serie di operatori bancari più snelli, altamente specializzati in determinati settori che saranno in grado di creare valore resistendo alla tentazione di diventare globali.