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Banche americane alle aziende: “Non vogliamo i vostri contanti”

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ROMA (WSI) – Il messaggio che i grandi colossi bancari americani stanno lanciando ai loro clienti, soprattutto aziende, è chiaro: “We don’t want your cash”. Ovvero: “Non vogliamo i vostri contanti”. Motivo? I bassi tassi di interesse che comprimono gli utili degli istituti bancari e le nuove regole imposte dalle autorità che il sistema finanziario americano è obbligato a rispettare.

Una delle ultime, riporta l’articolo del Wall Street Journal che affronta la questione, è stata finalizzata nel mese di settembre, e supervisionata dalla Federal Reserve e da altre autorità di mercato.

La norma obbliga le banche a detenere sotto forma di riserve asset considerati liquidi e di elevata qualità, come riserve di banche centrali e titoli governativi. Questo, al fine di riuscire ad assicurare un buon grado di liquidità agli istituti, e per coprire eventuali perdite sui depositi, per un periodo superiore ai trenta giorni.

Le banche, per tutelarsi dal rischio e per garantire l’alta qualità delle loro riserve, devono detenere riserve obbligatorie pari fino al 40% a fronte di alcune somme depositate presso di esse dalle aziende, e fino al 100%, nel caso di cash parcheggiato da clienti hedge fund.

I dati della Federal Deposit Insurance riportati dal Wall Street Journal indicano che nel secondo trimestre del 2015 i depositi domestici parcheggiati nelle banche americane sono balzati a $10.590 miliardi, +38% rispetto ai cinque anni precedenti. I prestiti, calcolati come percentuale rispetto ai depositi totali, sono crollati invece al 71% dal 78% del 2010 e dal 92% rispetto alla metà del 2007, prima dell’esplosione della crisi finanziaria.

Il problema per le banche Usa è che sta diventando sempre più costoso detenere sotto forma di depositi i contanti di alcuni clienti (quelli che per esempio hanno un merito creditizio e qualità dubbi). Tra l’altro, si sta sempre di più indebolendo il margine netto di interesse, fondamentale per valutare la reddività di un istituto di credito, espresso come differenza tra i ricavi (che le banche si assicurano attraverso i tassi che impongono a fronte dell’erogazione dei prestiti, tassi che con le politiche monetarie espansive sono però troppo bassi) e i costi . Da segnalare che i ricavi vengono espressi come percentuale degli impieghi e i costi come percentuale di capitale e depositi.

Iniziano a fioccare così per le aziende i primi aumenti di commissione, se non decisioni ancora più drastiche.

State Street Corp, per esempio, la banca di Boston che gestisce asset per gli investitori istituzionali, per la prima volta in assoluto, stando a quanto riportano fonti sentite dal Wall Street Journal, ha imposto oneri ad alcuni clienti per i depositi di grandi somme; mentre JP Morgan, la prima banca Usa per valore degli asset, ha tagliato i depositi indesiderati di un ammontare superiore ai $150 miliardi quest’anno.

La stessa State Street, inoltre, insieme ad altre banche, ha imposto commissioni sui depositi in euro, riflesso dei tassi di interesse negativi sui depositi overnight presso la Banca centrale europea. Le commissioni sui depositi sono particolarmente importanti per State Street, dal momento che il suo principale business è quello di custodire gli asset dei clienti – e dunque di detenere i loro contanti – piuttosto che effettuare prestiti con la liquidità di cui dispone.

“Il permanere del contesto attuale di tassi bassi richiede che agiamo in linea con una gestione finanziaria prudente, riguardo ad alcuni conti che continuamente presentano contanti in modo eccessivo”, si legge in un comunicato della banca di Boston.

La situazione che sta vivendo il sistema finanziario Usa, a prima vista potrebbe apparire paradossale agli occhi dell’Europa, se si considera il caso Grecia, con i controlli di capitale varati nel periodo peggiore della crisi di quest’anno, proprio per impedire la corsa agli sportelli e, dunque, per assicurare agli istituti di credito di ‘sequestrare’ una sufficiente liquidità.

Ma a un esame più approfondito non è affatto paradossale, se si fa riferimento alla politica monetaria ultra-accomodante e fatta di ‘tassi a zero’, che alla fine – almeno fino a quando la Federal Reserve non alzerà i tassi per la prima volta dal 2006- accomuna Stati Uniti ed Eurozona.

Tale politica non sta andando a beneficio delle grandi banche. Tanto che proprio ieri la Bundesbank, la banca centrale tedesca, ha rivelato come il QE si stia confermando più una zavorra per la redditività degli istituti di credito, che non un aiuto, proprio a causa del restringimento dello spread tra il tasso a cui erogano prestiti e il tasso da pagare sui depositi dei clienti.

Nel rapporto della Bundesbank si legge infatti che il programma QE comprime ulteriormente il margine di interesse netto e pesa “chiaramente” sulla redditività.

“La liquidità aggiuntiva – si legge nel report – utilizzata tra le altre cose per la concessione di prestiti è da ricondurre quasi esclusivamente aa un aumento dei depositi bancari e, quasi per nulla, alla vendita di attivi con valutazioni di mercato da parte delle banche stesse”. (Lna)