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Banche centrali finite nella trappola cinese

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NEW YORK (WSI) – Continua il boom della domanda di oro in Cina, che è ormai salita su livelli inimmaginabili.

Tanto che gli istituti centrali occidentali non sanno più cosa fare per contrastare tale voracità, le cui implicazioni sono molteplici.

Per esempio le banche centrali si sono viste costrette a far scendere il prezzo del metallo prezioso ad aprile dell’anno scorso.

Una volta esplosa la domanda cinese gli istituti centrali si sono trovati davanti a un bivio: danneggiare le banche o le valute.

La Fed vuole mantenere basso il più a lungo possibile il valore dell’oro, ma i suoi tentativi saranno vani, secondo Alasdir Macleod, head of research di GoldMoney.

In Asia, spiega il ricercatore ed economista, la gente pensa in modo diverso. Per loro l’oro è l’unico asset a lungo termine che vale la pena possedere. È il fondo pensione delle famiglie. In particolare in India e in Cina, che insieme agli altri Stati dell’Asia sudorientale contano una popolazione superiore a quella del resto del mondo (vedi grafico a fianco).

Che l’Occidente si sbagli o abbia ragione non importa. Il punto è che ci sono 45 miliardi di persone in Asia che hanno un modo all’antica di vedere l’oro e sono diventati abbastanza benestanti negli ultimi 20 anni da poter influenzare i prezzi e il futuro dei mercati.

America del Nord e Europa occidentale insieme contano per meno di un miliardo di teste, ovvero meno di un quarto dell’Asia sudorientale. “Non è una questione di economia austriaca o keynesiana: siamo semplicemente in minoranza”. Il loro approccio e i loro investimenti “contano più dei nostri”, chiosa Macleod.

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