Anche quest’anno, il tema centrale del World Economic Forum di Davos, che si apre oggi, sarà il cambiamento climatico. Secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite, infatti, sarà necessaria una riduzione delle emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 per raggiungere gli obiettivi climatici stabiliti dall’Accordo di Parigi. Eppure, proprio l’IPCC stima che le emissioni aumenteranno ancora, di quasi l’11%.
Inoltre, secondo il rapporto Global Climate Highlights 2022 di Copernicus, il programma di osservazione della Terra dell’Unione europea, la temperatura media nel mondo nel 2022 è stata di 1,2 gradi superiore rispetto al periodo pre-industriale (1850-1900). L’estate dell’anno scorso in Europa ha battuto il record di caldo, che era dell’estate 2021. L’autunno 2022 è stato il terzo più caldo mai registrato in Europa. Il cambiamento climatico incide sul funzionamento dell’economia per effetto di due tipi di rischio climatico:
- rischi fisici connessi al mutamento del clima, tra cui una maggiore frequenza o gravità di fenomeni meteorologici come tempeste e siccità;
- rischi di transizione da un’economia tradizionale a una neutra in termini di emissioni di carbonio.
L’analisi “Data and analytics innovations in credit portfolio management”, redatta da McKinsey & Company e dall’International Association of Credit Portfolio Managers (IACPM), che si basa su interviste condotte a 44 istituzioni finanziarie a livello globale, ha fatto il punto sugli impatti materiali del rischio climatico sul credito. Vediamo quali sono.
L’impatto del rischio climatico
Il rischio climatico è tipicamente concentrato in aree specifiche. Si è riscontrato che i rischi fisici e di transizione si registrano in aree molto mirate del portafoglio. Per identificare le sacche con un’alta concentrazione di impatto del rischio climatico, le istituzioni finanziarie devono eseguire una mappatura dettagliata per concentrare i propri sforzi sui rischi prioritari per ciascuno dei portafogli ad alto rischio. Ad esempio, si osserva comunemente che la maggior parte dell’impatto creditizio (circa il 70-80% dell’impatto incrementale) per le asset class legate al settore immobiliare proviene dal 10-20% dei debitori in portafoglio.
L’impatto medio sul credito può essere moderato nel breve termine, ma è probabile che vi sia un elevato grado di variabilità a livello dei singoli debitori. L’analisi rileva che anche nei settori esposti a un elevato rischio fisico e di transizione, l’impatto aggregato/medio sul portafoglio può essere moderato. Ad esempio, in un portafoglio di aziende del settore Oil & Gas upstream, l’impatto medio potrebbe essere una riduzione dell’Ebitda di circa il 7%. Tuttavia, la differenza tra i debitori con impatto massimo e minimo può essere netta. Nel caso del portafoglio Oil & Gas upstream appena citato, ci sono diverse aziende che hanno un impatto negativo sull’Ebitda fino al 40%, mentre altre registrano un impatto positivo sull’Ebitda in alcuni scenari grazie alla riallocazione della domanda di petrolio e gas. Le istituzioni finanziarie hanno iniziato a valutare questi impatti e intendono approfondirli, il che indica che la strada da percorrere è ancora lunga.
Per i settori esposti a rischi fisici, la maggior parte del rischio è rappresentata dagli impatti a catena, non da danni diretti. L’impatto creditizio a breve termine dei danni diretti è in genere coperto da assicurazione in settori come quello immobiliare (sia commerciale che retail). Tuttavia, gli effetti a catena possono superare gli impatti diretti, e qualsiasi valutazione dei fattori di rischio materiali dovrebbe includere il pagamento di premi assicurativi più elevati e il deterioramento del tenore di vita di una comunità, anche se la proprietà in sé potrebbe non essere danneggiata.
Il rischio climatico non gestito può avere un impatto tangibile sui rendimenti e sui profitti economici. La Comprehensive capital analysis and review (CCAR), gli stress test imposti dalla Banca Centrale Europea o le metodologie basate sul capitale regolamentare potrebbero non essere appropriate per la valutazione del rischio climatico, evidenziano McKinsey & Company e International Association of Credit Portfolio Managers (IACPM). Queste metodologie si concentrano infatti sui rischi patrimoniali e possono sottostimare l’impatto sul credito per i singoli debitori. La valutazione del rischio climatico richiede la comprensione dei rendimenti delle nuove attività orientate al clima e analisi di scenario specifiche per i singoli debitori. Se queste non sono condotte in modo ottimale, l’impatto può essere significativo. Nel caso di una banca nordamericana, stimano un’erosione potenziale del 35% dei profitti entro il 2030 in assenza di interventi sulle principali aree di esposizione al rischio climatico.
Gli ostacoli alla valutazione del rischio climatico
Prima di affrontare e mitigare il rischio climatico, le istituzioni finanziarie devono affrontare diversi ostacoli legati a competenze, dati e analisi. Poiché molti degli strumenti di valutazione del rischio esistenti non sono stati sviluppati sulla base dei requisiti di valutazione climatica, le istituzioni finanziarie avranno bisogno di un’architettura aperta, in grado di supportare nuove metodologie per la qualità, la standardizzazione e la raccolta dei dati. Infine, per cogliere e affrontare l’impatto olistico del rischio climatico sul portafoglio, sarà necessario concentrarsi maggiormente sulle competenze interdisciplinari e sulla mobilitazione trasversale della gestione del credito, del front-line e dei modelli di rischio.
In particolare, le istituzioni finanziarie devono compiere progressi significativi in due importanti approcci alla valutazione del rischio climatico: le analisi di scenario climatico e l’integrazione del clima nei processi di credito. Man mano che le istituzioni sviluppano le capacità di valutazione dei rischi climatici attraverso l’identificazione dei rischi e l’analisi degli scenari climatici, il passo successivo consiste nello sviluppare un approccio decisionale in materia creditizia che garantisca che i rischi climatici siano considerati in modo appropriato e sufficiente nella costruzione e nella gestione del portafoglio. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario incorporare l’analisi quantitativa del rischio climatico nel processo di valutazione del credito.
Banche e analisi del rischio climatico
Ad oggi, le banche che hanno avviato gli stress test climatici stanno valutando se costruire nuovi modelli di credito o adattare quelli esistenti agli stress test. Gli intervistati da McKinsey e IACPM si sono divisi equamente in tre parti, affermando di stare sviluppando nuovi modelli di stima delle perdite attese, di utilizzare i modelli attuali o di non aver ancora preso in esame il tema. Inoltre, le analisi sugli scenari di perdita dovuti allo stress climatico si sono concentrate maggiormente sui portafogli midmarket, corporate e commercial real estate (più del 50% delle banche per ciascun segmento), mentre un numero minore di banche (meno del 40%) ha condotto queste analisi sui portafogli pmi. La maggior parte delle istituzioni finanziarie in Europa, Medio Oriente e Africa sta sviluppando modelli internamente o si sta affidando a modelli di fornitori terzi per valutare il rischio climatico. Le istituzioni della regione Asia-Pacifico sono le meno avanzate e quelle nordamericane si collocano a metà strada. Non è un caso che l’86% degli intervistati considera il rischio climatico e l’ESG come la prossima grande sfida per l’’analisi del rischio di credito e della gestione del portafoglio nei prossimi due o tre anni.