Chi in passato si è avventurato nell’acquisto di crediti deteriorati italiani, nell’ambito delle cartolarizzazioni già sperimentate alcuni anni fa, spesso non ha avuto una bella esperienza: secondo quanto denuncia Bloomberg è questa la lezione che possono insegnare le operazioni di smaltimento di Npl – dunque di smobilizzo dei crediti deteriorati – operate da banche come Banco di Sicilia (ora Unicredit), Intesa SanPaolo e Bnl (ora Bnp Paribas).
In tutti i casi il copione è simile: nel giro di qualche anno le varie tranche di titoli, suddivise in livelli di rischio, subiscono forti downgrade da parte delle agenzie di rating, talvolta i tempi di rimborso si allungano e diversi milioni non tornano più indietro. Parte del problema, come spesso si è detto anche sulla stampa nostrana, è che i tempi per il recupero crediti, alla base dei possibili guadagni derivanti dall’investimento in Npl, sono lunghissimi: in media la procedura di bancarotta in Italia dura 7,8 anni, quando la media europea è appena sopra i due anni.
Nel caso della cartolarizzazione del Banco di Sicilia, gestita Island Refinancing Srl e risalente al 2007, la parte più senior (meno rischiosa) dei titoli è stata valutata AA, rispetto all’iniziale tripla A, prima di essere restituita. Ma per le tranche più rischiose, Fitch, lo scorso 13 luglio, ha prospettato scenari più avversi, scrivendo a chiare lettere che “non può assumere che il pieno importo possa ripagare i bond, che maturano nel 2025”.
I 32 milioni della tranche D sono “inevitabilmente” destinati alla svalutazione, mentre i 60 milioni della classe C si avviano a default probabile. Secondo l’agenzia di rating, infatti, i ritmi di recupero sono peggiorati.
Anche la tranche B, che probabilmente verrà rimborsata, è passata dall’iniziale rating A all’attuale BB.
Secondo Bloomberg scenari come questo “potrebbero essere un assaggio di una più ampia reticenza da parte degli investitori mentre l’Italia lavora per salvare un sistema bancario gravato da 360 miliardi di euro di crediti deteriorati”.