Mercati

Banche, Ermotti (Ubs) critica Bruxelles: “fanno di tutto per non far crescere il settore”

“L’Europa ha fatto tutto ciò che poteva fare per non permettere alle banche di essere più grandi o di avere successo”. Con queste parole Sergio Ermotti, ceo di Ubs, ha criticato i regolatori europei per aver permesso agli Stati Uniti di avanzare nel settore bancario dopo la crisi finanziaria del 2008 legata al fallimento di Lehman Brothers.

Banche, la critica di Ermotti

Sin dalla crisi del 2007-2009, le autorità di regolamentazione statunitensi hanno chiaramente indicato che volevano che le banche statunitensi “fossero la forza trainante nel settore dei servizi finanziari, in modo da consentire loro di crescere”, ha affermato Sergio Ermotti, CEO di UBS, nel podcast condotto da Nicolai Tangen, Amministratore delegato di Norges Bank Investment Management, secondo maggiore azionista della banca svizzera dopo BlackRock. “L’Europa ha fatto il contrario: ha fatto tutto ciò che poteva fare per impedire alle banche di crescere o di avere successo”.

La frammentazione dell’Europa dal punto di vista normativo e politico “senza un’unione dei mercati dei capitali, senza un’unione bancaria, ha impedito la creazione di attori forti e alternativi”, ha sostenuto Ermotti.

La crisi finanziaria ha portato a una serie di salvataggi e fusioni nel settore bancario europeo, ma in seguito molti dei più noti istituti di credito hanno faticato a eguagliare la performance dei loro omologhi statunitensi. “C’è il desiderio politico di non permettere alle banche di diventare troppo grandi”, ha detto Ermotti. “Ognuno vuole avere i propri campioni nazionali, dimenticando che vincere i campionati nazionali non porta molto lontano (a livello globale)”. 

Lo scorso anno, Ubs ha salvato la rivale Credit Suisse, dando vita a un colosso bancario con un bilancio da 1.600 miliardi di dollari e una quota di mercato vicina al 40% in Svizzera. Nessun’altra banca nel mondo ha un peso analogo nel proprio mercato domestico. La dimensione dell’istituto ha allarmato il Financial Stability Board (Fsb) che ha esortato Berna a rafforzare i controlli sulle grandi banche e a riformare l’autorità di regolamentazione.

Ermotti, tuttavia, non crede che Ubs sia diventata troppo grande. “Nel settore bancario, tutte le fusioni che creano valore arrivano in momenti di stress”, ha detto. “Guardate le banche statunitensi e come hanno raggiunto la loro posizione. È tutto dovuto al fatto che, durante la crisi finanziaria, hanno avuto il permesso o la richiesta di acquisire o mettere insieme banche che stavano per fallire o che stavano fallendo”.

Lo stato dell’occupazione nel settore bancario

Al di là delle considerazioni di Ermotti, una cosa è certa. Le operazioni di fusioni e acquisizioni nel settore bancario hanno contribuito ad un’emorragia di posti di lavoro nel settore senza precedenti. Nel 2023, il settore bancario, secondo una recente indagine del Financial Times, ha perso più di 60.000 posti di lavoro, segnando uno degli anni più pesanti dovuti alla crisi finanziaria, quando nel giro di un biennio, tra il 2007 e il 2008, scomparvero oltre 140.000 posti di lavoro. E la tendenza è destinata a continuare.
Dai numeri si evince che almeno la metà dei tagli sono stati effettuati dagli istituti di credito di Wall Street. Ma non è un “caso” solo americano: il Financial Times ricorda che l’acquisizione del Credit Suisse da parte di UBS ha già comportato almeno 13.000 posti di lavoro in meno e si prevedono altre grandi ondate di licenziamenti per l’anno prossimo.

“Non c’è stabilità, nè investimenti, nè crescita nella maggior parte delle banche e probabilmente ci saranno altri tagli di posti di lavoro”, ha dichiarato Lee Thacker, titolare della società di headhunting di servizi finanziari Silvermine Partners.

Non fa eccezione l’Italia: tra il 2009 e il 2022, secondo i dati elaborati dalla Fondazione Fiba di First Cisl, il settore bancario italiano ha perso oltre 66 mila posti di lavoro (66,380 mila per la precisione). Il quadro è tanto più preoccupante se si considera che questi sono numeri al netto delle nuove assunzioni (circa 38 mila assunzioni): il ricambio generazionale, incentivato dal 2011 tramite il Fondo per l’occupazione, non è stato dunque a saldo zero, ma ampiamente negativo.