Da Berlusconi a Renzi, passando per Monti e Letta, i governi degli ultimi cinque anni sono complici della evidente crisi patrimoniale di alcune delle principali banche italiane. Mentre andavano in giro per il mondo a vantarsi della soliditĂ del settore bancario del nostro paese, la montagna di crediti deteriorati iscritti nei bilanci degli istituti nazionali saliva progressivamente (vedi grafico sotto).
Le sofferenze lorde delle banche italiane sono più che raddoppiate da inizio 2011 al settembre del 2016, gonfiandosi da 90.000 euro a oltre 200 miliardi. La traiettoria era preventivabile viste le misure di austerity varate da allora che hanno portato a un’erosione della qualità creditizia. I salari congelati da anni e la crescita economica nulla o da prefisso telefonico facevano presagire un periodo difficile per il debito privato.
Invece i leader di governo e i capi del Tesoro andavano dicendo che il settore era solido come una roccia. “Le famiglie italiane sono tra le meno indebitate in Europa e il sistema bancario è solito e privo di rischi”, ha dichiarato Pier Carlo Padoan nell’ottobre del 2014 alla 90esima giornata del risparmio.
“Le banche sono solide, non serve una ricapitalizzazione”, diceva l’allora premier Enrico Letta nel 2013. Secondo l’uomo che l’ha preceduto al governo, Mario Monti, le banche italiane erano solide e le difficoltà di Unicredit “sono solo temporanee”. Anche Berlusconi ha sempre negato la realtà di un sistema finanziario in crisi.
Le misure più recenti adottate dalle autorità per mettere in sicurezza le banche più problematiche e a maggiore rischio di carenza patrimoniale tramite il ricorso ai finanziamenti privati (con la nascita del fondo Atlante 1 e 2) rischiano probabilmente di aggravare ulteriormente la situazione, visto che potrebbero indebolire le banche più sane, corse in soccorso di quelle in difficoltà .
I governi degli ultimi anni non hanno cercato di trovare una soluzione per erigere una barriera a difesa delle banche in un contesto di crisi economico-finanziaria e in vista di una possibile esplosione dei crediti deteriorati iscritti a bilancio. Anzi, pur consapevoli dell’evoluzione delle sofferenze lorde, le autorità hanno recepito norme sui salvataggi bancari penalizzanti per i correntisti e gli obbligazionisti (vedi regime di bail-in entrato in vigore a gennaio e già utilizzato per salvare quattro banche regionali).
Quando l’anno prossimo Mario Draghi metterà con tutta probabilità fine alle misure straordinarie di sostegno del sistema finanziario è meglio che le banche italiane abbiano risolto i loro problemi di capitalizzazione e con i crediti deteriorati. Come spiega Vincenzo Longo, strategist di IG, la chiave di svolta sta nel risultato del controverso piano di aumento di capitale di Mps, il terzo in tre anni.
Se salta questa operazione, che non esclude il ricorso al bail-in nel caso in cui qualcosa vada storto e non si riescano a trovare anchor investor disposti ad investire nei nuovi titoli azionari (senza diritto di voto), anche UniCredit – l’unica banca sistemica italiana – potrebbe subirne le conseguenze.
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