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Banche italiane: da Intesa a Unicredit, conti record. Ecco la scelta “comune” sugli extraprofitti

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Quasi 16 miliardi di euro di utili e 47,4 miliardi di ricavi. Due numeri che raccontano i primi nove mesi da record per le prime cinque banche italiane che si avviano a chiudere un 2023 da incorniciare, con gli obiettivi dei piani industriali raggiunti in anticipo. Una fotografia che emerge dall’analisi della Fabi, sui conti trimestrali degli istituti di credito italiani. E la tassa sugli extraprofitti, come è andata?

Analisi Fabi, numeri da record nei 9 mesi

Nell’ultima analisi condotta dalla Federazione Autonoma Bancari Italiani, si parla di un fatturato per le prime cinque banche nazionali da circa 47,4 miliardi di euro, con 15,7 miliardi di profitti nei primi 9 mesi del 2023. “L’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Banca centrale europea spinge ancora i risultati del settore bancario del Paese”, sottolinea la Fabi indicando la crescita maggiore è stata registrata dai ricavi legati agli interessi sul credito a imprese e famiglie (27,6 miliardi). Praticamente quasi il doppio ,di quanto incassato con le commissioni su servizi e attività di risparmio gestito, ammontanti a circa 15,9 miliardi. Per quanto riguarda il trading o i proventi da altri strumenti finanziari, la quota si attesta sui 3,7 miliardi di euro.

Andando nel dettaglio, svetta per ricavi Intesa Sanpaolo (18,77 miliardi), soprattutto alla voce interessi netti (10,65 mld) e nelle commissioni nette (6,45 mld). Per quanto riguarda le “altre entrate”,  Unicredit, con 1,79 mld supera i 1,66 di Intesa. Sempre il gruppo di piazza Gae Aulenti registra il miglior utile netto tra le prime cinque banche nazionali: 6,7 miliardi rispetto ai 6,12 delle banca guidata da Messina.

Come sottolinea la Fabi nel suo comunicato, si tratta dei migliori risultati di sempre sia per utili sia ricavi. Anzi, gli obiettivi dei piani industriali sono stati ampiamente realizzati con largo anticipo “[…] e i non performing loan (npl) ormai non catalizzano più l’attenzione come in passato perché la qualità del credito si mantiene decisamente buona“. E questo grazie alle mosse della BCE.

E la tassa sugli extraprofitti?

Per quanto riguarda la tassa sugli extra-profitti introdotta recentemente dal governo, tutte le banche, compresi i primi cinque gruppi dell’analisi della Fabi, hanno optato per l’accantonamento a riserva non distribuibile pari a 2,5 volte l’importo teorico del prelievo fiscale. Fabi parla di una tassa “sostituita” con una stima 4,2 miliardi di euro di accantonamenti a riserva non distribuibile. In particolare, Intesa Sanpaolo accantonerà 2,1 miliardi a riserva, come prevede la normativa; mentre per UniCredit la cifra sarà pari a 1,1 miliardi.

Opzione questa prevista dalla norma stessa. Al posto del pagamento dell’imposta si prevede che la banca possa accantonare una quota pari a 2,5 volte quello che sarebbe andato allo Stato. Nulla verrà incassato sottoforma di imposta, perché tutte le banche hanno optato per l’accantonamento a riserva non distribuibile.

Era una decisione che si sentiva nell’aria da tempo. Come riporta il Centro Studi di Unimpresa a ottobre, la prima a interessarsi all’accantonamento è stata la Unicredit. Ciò ha spianato la strada “[…] a un comportamento che, salvo poche eccezioni, dovrebbe essere seguito dalla quasi totalità del settore bancario italiano“. E così è stato con tutte. Così facendo, “[…] la tassa sugli extraprofitti a carico delle banche, introdotta dal governo con un decreto legge dello scorso 7 agosto, si appresta a produrre ‘gettito zero’ per le casse dello Stato“.

L’accantonamento è meglio della tassa sugli extraprofitti

Il fallimento della tassa sugli extraprofitti non sarà comunque una perdita. Anzi, l’accantonamento potrebbe diventare un’ottima occasione per le banche, come asserisce l’economista Lucio Lamberti, intervistato all’Adnkronos:

“[…] il correttivo introdotto […] ha consentito di sostituire la tassa con un significativo incremento del patrimonio […] non sostituisce lo Stato alle imprese in modo dirigistico e successivo, ma persegue un obiettivo di sistema […] la ricapitalizzazione delle banche in modo indiretto [E questo] consente una maggiore capacità delle banche ad erogare credito“.

L’obiettivo però è un altro: bisogna ora più che mai garantire “[…] una migliore trasmissione del risparmio a famiglie e imprese, favorire la presenza territoriale, favorire la alfabetizzazione finanziaria, favorire gli impieghi produttivi“.

Il segretario generale della FABI, Lando Maria Sileoni, commenta:

“Col nuovo contratto nazionale vanno garantiti alle lavoratrici e ai lavoratori importanti riconoscimenti economici. I 435 euro chiesti dai sindacati non sono un regalo.”.