Economia

Banche minori: in Italia due su tre sono a rischio crac

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MILANO (WSI) – Due banche su tre tra quelli minori rischiano il crack. A dirlo uno studio di R&S Mediobanca pubblicato da L’Espresso che svela i conti 2015 di 377 banche minori che hanno attivi inferiori a 5 miliardi di euro.

Si tratta per lo più di banche di credito cooperativo, banche popolari e società per azioni, vigilate in modo indiretto dalla Bce attraverso Bankitalia e il 66% di esse è considerata a rischio, circa un terzo abbondantemente. Per stabilire il livello di rischio, è stato usato come parametro il rapporto tra crediti deteriorati netti e patrimonio netto tangibile.

“Quando il rapporto supera il 100 per cento l’equilibrio patrimoniale della banca comincia ad essere compromesso”.

Le peggiori banche

La maglia nera, come peggior istituto in assoluto considerando tale parametro, è Banca di Teramo, con crediti deteriorati netti pari a quasi otto volte il patrimonio netto tangibile e sofferenze non garantite pari a più di due terzi i mezzi propri. A seguire Cassa di risparmio di Cesena, con poco meno di mille dipendenti, oltre 13mila azionisti, e crediti deteriorati netti pari a sei volte il patrimonio netto tangibile. Entrambe salvate per un soffio nel 2016 la prima mediante lincorporazione in Banca di Castiglione Messer Raimondo e Pianella e la seconda dal Fondo interbancario di tutela dei depositi.

Fari puntati anche su Cassa di San Miniato, annoverata tra i 107 istituti mediamente rischiosi, banca Atesina in Veneto con crediti per tre volte e mezzo il patrimonio netto e svalutazioni per quasi tre volte i ricavi. Al Sud abbiamo invece Banca popolare di Puglia e Basilicata (Bppb) con crediti deteriorati netti superiori di una volta abbondante al patrimonio netto tangibile e sofferenze non garantite pari al 10 per cento dei mezzi propri.

Oltre al rapporto tra crediti deteriorati netti e patrimonio netto tangibile, altro importante fattore che misura la rischiosità di un istituto è il rapporto tra strumenti ibridi e capitale di vigilanza, ossia il capitale minimo che una banca deve avere per soddisfare i requisiti di vigilanza prudenziale stabiliti dalla Bce.

“Gli strumenti ibridi comprendono le obbligazioni subordinate che la vigilanza considera quasi capitale, includendole nella valutazione di sicurezza patrimoniale della banca (…) I bond subordinati possono dunque essere convertiti in azioni il cui valore può essere abbattuto, fino al completo azzeramento, per coprire le perdite e ricostituire il capitale della banca. E quanto più è alta nel capitale di vigilanza la percentuale di strumenti ibridi tanto più è alto il rischio per il risparmiatore di perdere l’investimento”.

Secondo lo studio R&S di Mediobanca, l’incidenza di strumenti ibridi è altissima nel caso di Cassa di Cesena, il 54%, Credito salernitano, Cassa di San Miniato, Banca di Frascati, Bcc di Cagliari, Ubae e Banca di Castel Goffredo e tante altre.

Cosa ha fatto la banca centrale

Da qui la domanda spontanea. Cosa ha fatto la Banca centrale? Ha denunciato le irregolarità?

“Alcune banche locali sono state ispezionate più volte, ma a far scattare l’allarme sono stati spesso gruppi di piccoli azionisti. Altre volte è stata la magistratura a scoprire il marcio. Sono decenni che Bankitalia arriva ultima sul luogo del delitto. (…) C’è un male profondo da estirpare nel sistema bancario (…) altrimenti altri crack potrebbero abbattersi sui piccoli investitori”.