Ricavi ancora in crescita e costi in discesa per le prime cinque banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Bper) nel primo trimestre del 2024. Ma rispetto ad un anno fa diminuiscono gli sportelli ed il numero dei lavoratori. E’ una fotografia in bianco e nero quella che scatta la Fondazione Fiba della First Cisl secondo cui gli straordinari risultati del primo trimestre non si riflettono tuttavia sulla patrimonializzazione, che rimane stabile, con un Cet1 ratio attorno al 15% grazie al contenimento delle attività ponderate per il rischio (- 0,6%).
First Cisl: i conti delle prime cinque grandi banche italiane
Il report mette in luce i conti trimestrali di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Bper i cui proventi operativi fanno segnare un aumento del 9,5% rispetto allo stesso periodo del 2023.
Il margine d’interesse (+ 15%) traina i conti insieme alle commissioni nette (+ 4,9%), e spinge l’utile netto a 6 miliardi (+ 25,1%). La redditività beneficia anche del basso livello del costo del rischio (appena 22 punti base, con l’Npl ratio netto stabile all’1,4% e il peso dei crediti in bonis stage 2 sui crediti alla clientela in contrazione dal 12,3% al 10,8%): il Roe annualizzato passa dal 12,5% al 14,7%.
In parallelo continua la discesa dei costi. Il cost/income si attesta al 39,8% dal 43,1% di un anno fa (con una media stimata al 53,7% per le 15 maggiori banche europee), dato cui contribuisce la riduzione degli sportelli (- 558 pari al 4,6%) e dell’occupazione (- 6.504, pari al 2,8%).
Cala anche il rapporto tra costo del personale e proventi operativi (dal 26,6% al 24,8%). Segno più per la produttività: margine primario per dipendente (+ 14,5%) e risultato di gestione per dipendente (+ 19,4%) dimostrano il contributo determinante del lavoro.
Banche italiane e tassi Bce: cosa è emerso
I risultati del primo trimestre non si riflettono tuttavia sulla patrimonializzazione, che rimane stabile, con un Cet1 ratio attorno al 15% grazie al contenimento delle attività ponderate per il rischio (- 0,6%). È quanto emerge dall’analisi condotta dalla Fondazione Fiba di First Cisl.
Analizzando il Cet1 ratio delle banche significant europee, vale a dire il rapporto tra capitale di migliore qualità (Cet 1) e attività ponderate per il rischio (Rwa), è possibile rilevare che tra il 2019 e il 2023 il gap a sfavore delle banche italiane, pari ad un punto, si è annullato.
L’analisi comparata evidenzia inoltre un forte recupero in termini di redditività delle banche italiane. L’Italia ha registrato infatti nel 2023 un Roe record del 13,7%, superiore del 50% alla media delle banche significant europee.
Le banche italiane sono quindi quelle che hanno beneficiato maggiormente del rialzo dei tassi della Bce. Ciò può essere dovuto sia ad una maggior presenza tra gli impieghi di quelli indicizzati all’Euribor sia, soprattutto, ad un minor adeguamento al rialzo della remunerazione della raccolta retail.
“Quello che si delinea è un quadro di ottima salute del sistema bancario, che però – commenta il segretario generale First Cisl Riccardo Colombani – presenta delle ombre riguardo alle prospettive di sviluppo del Paese, anche valutando il diverso comportamento dei sistemi bancari europei che, diversamente da quello italiano, hanno perseguito il miglioramento della patrimonializzazione attraverso l’aumento del capitale e non attraverso la riduzione delle attività ponderate per il rischio, con particolare riferimento al rischio di credito che, anzi, è aumentato.
Per tali ragioni – prosegue – si devono creare le condizioni affinché le banche italiane siano uno dei grandi propulsori del Paese nel ridisegno dell’economia e della società, assolutamente indispensabile ed improcrastinabile. Per tanti anni a venire, avremo bisogno di consistenti investimenti privati nell’economia reale, al fine di gestire la transizione digitale ed ecologica. Alla forte incentivazione per mobilitare il risparmio privato si devono accompagnare politiche di offerta del credito per stimolare la trasformazione dei sistemi produttivi. Con un costo del lavoro che è meno di un quarto del totale dei proventi – conclude Colombani – anziché insistere sull’ulteriore ed immotivata riduzione dei livelli occupazionali serve investire nel coinvolgimento di lavoratrici e lavoratori”.