ROMA (WSI) – Un mercato importante come quello italiano è in uno stato molto precario dal 2016, anno che ha visto guarda caso l’introduzione delle normative Ue, recepite dal nostro Stato, in materia di bail-in degli istituti di credito in crisi. Il nuovo impianto legislativo prevede che al salvataggio di una banca partecipino azionisti, creditori e in ultima istanza anche correntisti con più di 100 mila euro depositati in banca.
Ieri il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan ha detto che questo quadro normativo, che dal primo gennaio è andato a sostituire i piani di bail-out, non è all’origine dei cali di Borsa delle banche italiane e che il principale fattore dietro alle vendite a pioggia è la paura di un rallentamento dell’economia globale. Ebbene, l’ex funzionario dell’Ocse si sbaglia.
Molte entità come le piccole e medie imprese del Made in Italy non possono permettersi di avere mille conti correnti separati da meno di 100.000 euro in banca. Motivo per il quale è possibile che abbiano trasferito i loro soldi all’estero in lidi bancari che siano peraltro a meno rischio insolvenza, e in banche che non abbiano la pancia piena di crediti inesigibili.
Ovviamente il crollo dei titoli in Borsa non si spiega con un solo fattore. Il selloff di inizio anno in Europa si può spiegare anche con l’esposizione degli istituti verso il settore energetico, messo in ginocchio dal continuo crollo dei prezzi del petrolio. Tale esposizione potrebbe tradursi in ulteriori perdite, per le banche, del valore di $100 miliardi. Un altro elemento danneggiante sono i tassi bassi o negativi, che erode la redditività delle banche e nello specifico i margini netti di interessi (NIM).
Principio di corsa agli sportelli
I pagamenti della Bce effettuati nel sistema di Target2 stanno aumentando nel caso italiano e l’andamento deve preoccupare. I Target 2 sono prestiti a breve che la banca centrale offre agli istituti di credito in salute dell’area euro per soddisfare il loro bisogno di liquidità.
Viene ritenuta una “misura eccellente per monitorare la fuga di capitali da un paese dell’Eurozona a un altro della stessa area”. Come spiega anche PIMCO, TARGET 2 sta per Trans-European Automated Real-time Gross Settlement Systems e indica il sistema di pagamenti interbancario che elabora i bonifici inviati da un paese all’altro dell’area euro in tempo reale.
Come già visto con la Grecia, sono stati spesso usati dalla Bce per aiutare le banche in crisi che riscontrano una carenza di capitali e tutto il sistema bancario in generale. Allo stesso tempo, per concedere crediti di questo tipo Mario Draghi chiede in cambio un collaterale decente.
L’analista indipendente Pater Tenebrarum, economista molto seguito con il suo blog Acting-Man, ha spiegato come è stato strutturato questo collaterale per le banche italiane.
“Governo e banche italiani si stanno aiutando l’un l’altro facendo finta di essere più solventi e solidi di quello che non siano in realtà: le banche comprano beni dal governo (uffici, palazzi, basi militari, etc.) e pagano il Tesoro con bond governativi”.
A quel punto l’esecutivo affitta dalle banche gli edifici e le altre proprietà vendute, poi le banche usano quei contratti creditizi trasformandoli (cartolarizzandoli) in titoli derivati ABS (Asset Backed Securities). Il governo fa da garante per quei titoli: ciò rende i contratti idonei per le operazioni di prestito pronti contro termine presso la Bce.
Le banche piazzano ABS presso la Bce e comprano altri bond italiani, ritornando quindi alla fase numero uno di questo circolo vizioso all’apparenza infallibile e impenetrabile. Come già scritto anche da Wall Street Italia, si tratta di uno schema Ponzi di proporzioni inaudite.
Imprenditori, “trasferite denaro all’estero”
Prima la Bce, i governi e le banche potevano fare andare avanti all’infinito questo ‘giochino’, ma ultimamente le regole sono cambiate. L’Eurozona ha creato un mondo in cui la regolamentazione unificata delle banche è stata messa in piedi senza prima pensare a un modo efficace per salvare le banche. Come cuscinetto esiste solo l’assicurazione sui depositi a livello nazionale (in Italia è presente il Fondo interbancario di tutela dei depositi), che in molti paesi è inadeguata per i depositi sopra i 100 mila euro.
Senza assicurazione, i correntisti sono sottoposti al prelievo dei loro risparmi, nel rispetto della normativa sui piani di bail-in. Basta detenere meno di €100.000 euro in una banca italiana, anche se questa fosse in crisi di capitali, per potersi sentire al sicuro. Il problema è che non tutti possono permetterselo, come l’esempio fatto in precedenza delle Pmi italiane che rappresentano anche il cuore dell’industria e dell’economia italiana. Un qualsiasi imprenditore sano di mente avrebbe già provveduto a trasferire i propri soldi all’estero in una banca dal bilancio solido e il più solvente possibile.
La ricetta per un nuovo disastro
Per alcuni analisti o osservatori, come Thomas Fazi, l’unione bancaria così come è stata ideata non può che portare esiti disastrosi. A parte il fatto che ci sono banche troppo grandi per essere salvate (‘too big to bail‘) anche con l’intervento del bail-in e a uno stadio successivo del bail-out tramite le risorse del fondo salva stati ESM. Il vero problema è un altro.
Consiste nel fatto che gli Stati membri sono costretti a ricorrere al bail-in come primo metodo di salvataggio di una banca, a prescindere dalle conseguenze di una simile operazione, dalla natura dei problemi dell’istituto, dal contesto macroeconomico, e così via. Insomma, “la ricetta prescritta dall’unione bancaria europea rischia di scatenare un nuovo disastro”.