Nell’ultimo anno le banche europee hanno registrato performance economico-finanziarie ragguardevoli, beneficiando soprattutto del contesto di tassi di interesse più elevati. Il ciclo restrittivo della Bce, infatti, ha consentito agli istituti di incrementare le entrate da interessi attivi e, di conseguenza, i margini di interesse, con effetti a cascata sull’intero conto economico.
Ora la Bce potrebbe aver raggiunto il picco dei tassi, o comunque dovrebbe esservi vicina, ma per le banche potrebbero insorgere problemi di liquidità derivanti in parte dalla restituzione dei prestiti TLTRO e in parte dal possibile incremento delle riserve obbligatorie, non remunerate, presso la banca centrale. Vediamo più nel dettaglio in cosa consistono questi rischi.
Cosa sono i TLTRO
Con questo acronimo si indicano le Targeted Longer-Term Refinancing Operations, ovvero rifinanziamenti concessi dalla Bce alle banche per particolari operazioni mirate a finanziare il credito al consumo alle famiglie e i prestiti alle imprese.
Nel 2019 Mario Draghi, allora presidente della Bce, ha lanciato il terzo programma TLTRO, che nel corso dei due anni successivi ha contribuito significativamente a sostenere i prestiti nei Paesi più colpiti dalla pandemia, tra cui l’Italia. Questi fondi sono stati presi in prestito dalle banche a tassi estremamente vantaggiosi o persino negativi.
Nel corso di dieci aste, gli istituti del Vecchio Continente hanno raccolto più di 2.300 miliardi di euro, con la possibilità di fornire in garanzia asset di qualità non elevatissima. Di questi, circa 630 miliardi sono ancora in circolazione, di cui 284 miliardi in scadenza a marzo 2024.
Il rimborso dei TLTRO pone sfide per le banche
La questione del rimborso dei TLTRO ha posto un potenziale rischio di liquidità per alcune banche, soprattutto di dimensioni minori. Finora la maggior parte dei rimborsi è avvenuta utilizzando liquidità in eccesso, ma gli istituti di dimensioni minori o con problemi strutturali potrebbero non averne a sufficienza per estinguere i propri debiti.
Per reperire altra liquidità ci sono diverse alternative, ma in questa fase sono più o meno tutte costose: aumentare i depositi, offrendo una remunerazione più elevata; chiedere altra liquidità in prestito sul mercato interbancario o alla Bce, ma ai tassi attuali che sono più elevati; emettere nuove obbligazioni, ma anche in questo caso è necessario offrire un rendimento più alto rispetto agli anni passati. Il tutto, con impatti negativi sul margine di interesse degli istituti.
Secondo il Presidente uscente del Consiglio di Vigilanza della Bce, Andrea Enria, “alcune banche potrebbero dover fronteggiare alcune sfide nell’attuale fragile contesto di mercato” e potrebbe verificarsi un aumento della concorrenza sui tassi tra gli istituti.
Bce vuole ridurre liquidità delle banche
L’altra potenziale minaccia potrebbe arrivare dalla stessa Bce, intenzionata a ridurre l’eccesso di liquidità presso le banche europee per proseguire nella sua lotta all’inflazione. Questo potrebbe avvenire attraverso un incremento dei requisiti obbligatori di riserva che gli istituti devono detenere presso la banca centrale. Il tema potrebbe essere discusso nel prossimo meeting del 26 ottobre o nelle riunioni successive.
Obbligare le banche a mantenere più liquidità ferma diminuirebbe la quantità di massa monetaria in circolazione, “drogata” da anni di politiche monetarie espansive, e aiuterebbe a raggiungere il target di inflazione del 2%, dopo i dieci aumenti dei tassi effettuati da luglio 2022 ad oggi.
Altre strade per diminuire la liquidità potrebbero riguardare la revisione dei programmi di acquisto di obbligazioni, bloccando anticipatamente i reinvestimenti nell’ambito del piano PEPP, con il rischio però di destabilizzare i mercati finanziari e far impennare lo spread nei Paesi più indebitati, come l’Italia. Nella riunione della scorsa settimana, la Bce ha ribadito che continuerà a reinvestire il capitale rimborsato sui titoli in scadenza almeno sino alla fine del 2024.
La view degli analisti
Secondo fonti citate da MPS Capital Services, “molti membri sembrerebbero orientati ad alzare il coefficiente di riserva obbligatoria dall’1% attuale dei depositi al 3-4%. Considerato che nell’ultimo periodo di mantenimento (21 giugno – 1 agosto) la riserva obbligatoria era pari a 165 miliardi di euro, tale decisione triplicherebbe l’ammontare di liquidità detenuta dalle banche remunerata allo 0%.” Tuttavia, “alla luce della delicatezza del tema e dei timori espressi da alcuni membri del rischio di aumentare la volatilità sui mercati finanziari, ogni modifica difficilmente sarà implementata prima di fine anno.”
Equita ricorda che “al meeting di luglio Bce ha eliminato la remunerazione sulla riserva obbligatoria, precedentemente pari al tasso sui depositi”, salito ormai al 4% con gli aumenti dei tassi di riferimento. “Sulla base dei nostri calcoli, l’incremento della riserva obbligatoria (non remunerata) dall’attuale 1% al 3%/4% dei depositi, avrebbe un impatto negativo – a parità di condizioni – del -3%/5% sulle nostre stime di utile per il settore”.