Lo spettro di un bail in è stato scongiurato ma i clienti di alcune banche italiane si danno comunque alla macchia. L’esecutivo italiano è passato all’azione per mettere in sicurezza due banche nazionali crisi, presentando ieri alla Commissione Europea un piano per una ricapitalizzazione in via precauzionale da 5 miliardi di euro di Veneto Banca e Popolare di Vicenza.
Il progetto di salvataggio dei due istituti veneti in difficoltà patrimoniale ricalca da vicino quello studiato per un’altra banca italiana in crisi, Mps, sulla quale il governo Gentiloni ha già avviato un dossier con la Commissione Ue. Nonostante le proposte di rimborso offerte ai soci azionisti, Pop Vicenza e Veneto Banca devono pero’ fare i conti con una fuga dei depositi.
Nel timore di perdere la clientela e i soci, i due gruppi finanziari hanno offerto una transazione ai propri azionisti, che nel caso di Pop Vicenza prevede il rimborso di 9 euro per ogni azione posseduta e la richiesta di non ricorrere a vie legali. Nel caso di Veneto Banca l’offerta è del 15% del prezzo di acquisto.
I clienti pero’ in alcuni casi se ne stanno già andando: in un articolo pubblicato a inizio settimana il Sole 24 Ore stima che la fuga dei depositi dal settore bancario italiano abbia raggiunto la somma di 65 miliardi di euro. Da un’analisi dei flussi di capitali e della raccolta netta si vede bene come la fuga dei correntisti sia poi strutturale.
Per ora i bilanci consultabili per le due banche venete non quotate, salvate con un’iniezione di capitale di 2,5 miliardi da parte del fondo Atlante, sono quelli dell’esercizio 2016. Pop Vicenza ha subito un calo netto della raccolta diretta tra l’ultima parte del 2015 e il primo semestre dell’anno scorso: a giugno si è attestata a 20 miliardi rispetto ai 27,6 miliardi dell’anno prima. Da parte sua Veneto Banca ha registrato una fuoriuscita dei flussi netti pari a 2,4 miliardi da giugno 2015 al mese dell’anno successivo, equivalente al 10% del totale.
I dati di fine anno rischiano di essere ancora peggiori, in particolare se si prende come metro di paragone quello che è successo a Mps. L’anno scorso, il periodo in cui la crisi della terza banca d’Italia nonché la piu’ antica al mondo ha raggiunto il suo apice, dalle casse del gruppo toscano sono fuoriusciti piu’ di 14 miliardi di euro.
Bond pericolosi in mano a 10 mila risparmiatori e Pmi
Il fondo Altante di Quaestio controlla il 90% dei due istituti, ma dopo l’aumento di capitale e la risultante nazionalizzazione il futuro dell’azionariato è incerto. Non si sa se il fondo di Quaestio lascerà strada libera al governo bruciando i 3,5 miliardi complessivi spesi per l’operazione di risanamento oppure se rilancerà.
Intanto nell’ambito del piano di ricapitalizzazione l’AD di Pop Vicenza Fabrizio Viola sta lavorando a un programma di conversione dei bond subordinati in azioni, del valore stimato di 500-700 milioni circa. Con la nazionalizzazione la normativa che regola il burden sharing prevede il coinvolgimento dei bond subordinati in mano a circa 9-10mila famiglie e piccole e medie imprese e di quelli piu’ “pericolosi”, acquistati dagli investitori istituzionali, per un valore di 1,1 miliardi.
La parte restante del piano sarà concentrata invece in operazioni di dismissione e di taglio dei costi: si parla di valorizzare, oltre agli immobili, sia la Sgr Arca (le due ex popolari hanno il 19,9% a testa) sia Bim (controllata da Veneto Banca al 71%). Permetterebbero di incassare denaro fresco e ridimensionare la mole dell’aggregato e quindi l’ammontare della ricapitalizzazione necessaria.
E’ inoltre prevista la creazione di una bad bank da 9 miliardi per smaltire la montagna di sofferenze in portafoglio e la riduzione della rete, con 2.400 esuberi attesi. Oltre ai dipendenti, a pagare potrebbero essere insomma gli obbligazionisti subordinati, che hanno scommesso 146 milioni di euro in Pop Vicenza e 54 in Veneto Banca.