È la settimana decisiva per il salvataggio delle due banche venete in crisi patrimoniale. Allo stato attuale servono almeno 1,2 miliardi circa di capitali freschi da parte dei privati – forse qualche miliardo in meno se il governo riuscirà a ottenere uno sconto rispetto alle richieste delle autorità europee. Ma per il momento l’unico istituto italiano che sembra disposto a intervenire sul serio è Intesa Sanpaolo, secondo quanto riferito alla Stampa da una fonte vicina alla vicenda.
Tramontata l’idea – per i rischi che comporta – di un intervento mirato nel capitale, con Intesa Sanpaolo che affianchi lo Stato italiano, sta spuntando l’ipotesi, gradita a Bruxelles perché minimizzerebbe l’intervento pubblico, di una risoluzione ‘morbida’ che passerebbe per la creazione di una good bank e di una bad bank.
A Intesa Sanpaolo andrebbe la good bank, mentre sull’altro fronte le opzioni sono due: potrebbe intervenire il fondo di risoluzione, alimentato dai contributi obbligatori di tutto il sistema bancario, ma bisognerebbe vincere l’opposizione dell’Abi, l’associazione bancaria italiana che ha già espresso la sua contrarietà.
A rilevare la bad bank potrebbe essere allora un fondo, come Fortress per esempio, che insieme a Elliott si è appena sfilato dall’operazione di smaltimento dei crediti deteriorati di Mps. All’acquirente spetterebbe il compito di gestire e ripulire le sofferenze iscritte nei bilanci delle due banche venete.
Il team manageriale della prima banca italiana per capitalizzazione dovrebbe riunirsi mercoledì per fare il punto sulla fattibilità dell’operazione, “anche se al momento non risultano convocazioni”. Come riferisce Gianluca Paolucci sul quotidiano torinese “tutte le strade passano dal «burden sharing»”, ossia dall’azzeramento delle azioni e dei bond subordinati.
A cambiare, “anche in maniera considerevole”, è la dimensione dell’intervento pubblico. “Le opzioni a disposizione di Intesa Sanpaolo sono più di una, ma nessuna al momento sembra facilmente percorribile. Anche perché i paletti entro i quali l’istituto è disponibile a farsi carico delle due banche sono stretti. Minimizzare gli impatti sul capitale e non intaccare la politica di dividendi”, che sinora ha caratterizzato la gestione dell’amministratore delegato Carlo Messina.
Il governo Gentiloni vorrebbe ottenere uno sconto sugli 1,2-1,25 miliardi di capitali privati chiesti dalle autorità europee, che sono da reperire per salvare le due banche e far scattare la ricapitalizzazione precauzionale pubblica: entrambe le operazioni permetterebbero di colmare un buco patrimoniale di 6,4 miliardi. Diverse società, come le Poste italiane, Unipol e UniCredit – non solo Intesa Sanpaolo – hanno aperto alla possibilità di partecipare all’iniezione di denaro fresco nelle casse di Veneto Banca e Pop Vicenza. Ma nessuna si è ancora fatta veramente avanti.
Esclusa la possibilità di un salvataggio esclusivo da parte dei privati – sulla falsa riga di quanto avvenuto con Banco Popular, rilevata da Santander al prezzo simbolico di un euro – non rimane altra strada da percorrere se non quella del duplice intervento, privato e pubblico. Ma l’ingresso di Intesa Sanpaolo nel capitale accanto allo Stato è un’operazione che presenta dei rischi.
“Senza la garanzia che l’intervento sia risolutivo e con un socio di maggioranza, per quanto a tempo, come lo Stato”, come spiega La Stampa. Di qui l’idea della risoluzione «morbida»: la creazione di una good bank e una bad bank, con Intesa che prende le «nuove» banche da fondere ripulite dalle sofferenze e delle cause legali. Resterebbe da gestire il nodo degli esuberi, ma su questo è al lavoro il governo e non è escluso un decreto ad hoc per incrementare la dotazione pubblica del fondo esuberi del sistema bancario (già incrementato con 800 milioni per tre anni, dei quali 600 milioni per il solo 2017)”.
Sospesi rimborsi dei bond subordinati di Veneto Banca
Intanto il governo prende tempo e ordina la sospensione dei rimborsi dei bond subordinati con scadenza 21 giugno di Veneto Banca. Lo ha stabilito il consiglio dei ministri approvando un decreto governativo ad hoc. Stando a quanto riferito a Reuters da una fonte governativa l’intervento è “propedeutico alla soluzione oggetto di negoziato con le autorità europee per il salvataggio di Veneto Banca e Popolare di Vicenza”. Il bond decennale lower Tier II di Veneto Banca è stato collocato all’importo nominale di 150 milioni di euro, mentre il valore circolante è di 86 milioni di euro.
L’intervento – spiega Il Sole 24 Ore – si è reso necessario per “sollevare gli amministratori della banca da eventualità responsabilità, visto che il rimborso dell’emissione potrebbe rappresentare una violazione della par condicio tra creditori qualora la banca diventasse insolvente“.
In sede di conversione il decreto, riferisce Il Sole 24 Ore, potrebbe diventare per i legislatori l’occasione di plasmare una sorta di contenitore in cui potrebbero essere innestati, tramite emendamento, le misure a supporto del sistema bancario, come “un alleggerimento fiscale sulle perdite su crediti (le dta) o un rifinanziamento del fondo esuberi”.
Le autorità europee fanno sapere che negli ultimi giorni sono stati compiuti “buoni progressi” sulle trattative tra Italia e Unione europea per la soluzione dei problemi delle due banche venete. Lo ha riferito il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas in una conferenza stampa. Sulle banche in crisi “la Commissione europea, la Vigilanza unica sulle banche e le autorità italiane lavorano assieme, è in corso un dialogo costruttivo in corso per trovare una soluzione in linea con le regole”, ha detto in risposta a una domanda sul tema.