Le aziende italiane sono le più indebitate dell’Eurozona. Lo afferma Salvatore Rossi, direttore generale di Bankitalia e presidente dell’Ivass, nel suo intervento alla Giornata del credito.
Le aziende italiane fanno “troppo conto sul debito e troppo di questo debito è bancario. In tutte le categorie dimensionali le imprese italiane sono più indebitate che nella media dell’area dell’ euro, in misura crescente dalle grandi alle piccole e piccolissime. Nella composizione dei debiti finanziari delle nostre imprese si nota l’assoluta anomalia italiana, come i prestiti bancari di gran lunga prevalenti, più che in qualunque paese o area del mondo avanzato”.
Rossi parla anche dell’assenza o poca presenza del capitale di rischio nelle aziende italiane.
“Ma per espandersi, per conquistare nuovi mercati, per innovare, le imprese hanno bisogno di capitale di rischio, che è lo strumento principe per finanziare investimenti dal rendimento elevato ma incerto. Esso consente di ridurre i problemi di azzardo morale intrinseci nei contratti di debito, allineando gli interessi dei soggetti finanziati e dei finanziatori e permettendo a questi ultimi di beneficiare degli alti rendimenti dell’investimento in caso di successo”.
Rossi ha anticipato alcuni dei numeri diffusi dall’Aifi, che mostrano come nel 2015 gli investimenti di capitale di rischio sono stati appena 4,6 miliardi di euro. Rimane piccolo anche il numero di società non finanziarie quotate, pari a 256 contro le oltre 700 di Francia e Germania. Poco incoraggiante anche il loro valore di mercato, molto basso in rapporto al Pil: 20% in Italia, a fronte del 47% e del 69% rispettivamente di Francia e Germania.
In relazione al rapporto banche-imprese, Rossi sottolinea che comunque la situazione ora è cambiata, nel senso che l’accesso al credito è più selettivo rispetto al passato. Tuttavia, è anche vero che tuttora gli istituti vanno a caccia di quelle aziende che hanno una buona reputazione, a fronte di “imprese che si vedono rifiutare il credito”. E, a tal proposito, Rossi commenta:
“Giustamente, aggiungo, anche se con preoccupazione”.
“Quando le vacche erano grasse e i legami localistici o politici delle banche con la clientela erano più forti e più opachi, era più facile occultare la cattiva gestione di alcuni intermediari nel selezionare i debitori agli occhi dell’opinione pubblica e degli organi di vigilanza. Ora è sempre più difficile”.
Nell’affrontare i problemi che attanagliano le banche italiane, Rossi non ha dubbi:
“Il problema dei problemi delle nostre banche è la bassa redditività. Le banche italiane lo condividono con gran parte degli intermediari europei, per via delle deboli prospettive di crescita economica, dell’incremento della concorrenza, dell’eccezionale, ancorché temporanea, discesa dei tassi di interesse. In Italia, tuttavia, il problema è particolarmente acuto e riflette anche l’elevato livello dei crediti deteriorati, lascito della lunga e profonda fase recessiva”.
Cosa possono fare le banche italiane? La ricetta proposta è quella dei tagli al personale:
“Occorre accelerare la razionalizzazione delle strutture organizzative centrali e della rete in modo da riassorbire l’eccesso di capacità produttiva che si è determinato in questi lunghi anni di crisi. In non pochi casi saranno inevitabili interventi sul personale: si potranno utilizzare gli ammortizzatori sociali esistenti, ovvero il pensionamento anticipato finanziato dal fondo di solidarietà di settore, per il quale è stata recentemente ampliata la possibilità di utilizzo; ma, se necessario, occorreranno interventi ad hoc”.