ROMA (WSI) – Salvatore Rossi, direttore generale di Bankitalia, non ha dubbi. L’Italia è reduce dalla “guerra dei sette anni”.
“La guerra dei sette anni è quella da cui sta uscendo l’economia italiana”, afferma, in occasione di un intervento al collegio Borromeo di Pavia. E presenta una carrellata di dati che davvero sono da bollettino di guerra.
L’Italia non ha affrontato una guerra tradizionale “ma una di queste guerre moderne, virtuali, in cui capannoni, uffici, posti di lavoro possono vaporizzarsi con il click di un mouse”. Rispetto a sette anni fa “produciamo quasi un decimo in meno, l’industria ha subito una contrazione del 17%, le costruzioni di oltre il 30%.”. E ancora: “sono stati distrutti all’incirca un milione di posti di lavoro. Le imprese investono un terzo in meno, le famiglie spendono l’8% in meno. Le esportazioni sono a stento rimaste costanti. È aumentata la diseguaglianza fra le imprese e fra le famiglie”.
All’azione politica si chiede uno “sforzo complessivo” per “disincentivare le rendite di posizione”.
Come sta ora, l’Italia?
“Adesso ci sono tutti i presupposti per ripartire. Ma la ripartenza è timorosa, va incoraggiata”, continua Rossi, che lancia alcuni appelli. Gli imprenditori, devono “crescere le loro imprese, separandole dai destini della famiglia” e questo deve essere “l’impegno prioritario della politica economica oggi nel nostro paese”.
E ancora: “Molte imprese sono pronte a investire ma ancora esitano a farlo. Se le loro decisioni saranno rapidamente positive ne discenderà un aumento dell’occupazione e la ritrovata fiducia si trasmetterà anche alle famiglie consumatrici”.
Le possibilità di riprendersi, per l’Italia ci sono: il paese potrebbe infatti rimettersi “a salire con una velocità maggiore di quella che aveva prima di essere travolta dalla duplice crisi” incoraggiata dal quadro internazionale favorevole e “da un impegno a riformare la struttura economica e sociale del nostro paese”, che “è crescente e apprezzato nelle sedi internazionali”.
Un importante appello è rivolto anche al sistema dell’istruzione e della formazione, dal momento che secondo Rossi il sistema universitario italiano non è al passo con l’economia moderna e avanzata, in quando non è capace di produrre un capitale umano adeguato all’attuale contesto.
“Se si pensa alle graduate schools americane, inglesi e tedesche o alle grandes écoles francesi, sembra quasi che l’Italia abbia rinunciato a formare in casa propria la sua élite professionale, lasciando che a svolgere questo compito siano istituzioni universitarie di altri paesi. Mentre le imprese “nei livelli stipendiali, anche nei contratti ad personam, non distinguono quasi mai fra un neo-laureato di una università italiana di basso livello e un PhD di Harvard”.
Insomma: “spetta alla rappresentanza politica il compito, complesso e gravoso, di fluidificare il circuito conoscenza-innovazione-rilancio economico, rimuovendo ostacoli inutili, fissando i giusti incentivi e disincentivi a tutela di interessi pubblici effettivi, infine assicurando l’equità sociale”.