ROMA (WSI) – l potere di stampare moneta l’ha perso un bel po’ di tempo fa. Da oggi perde anche la vigilanza sui più grandi gruppi bancari, in conseguenza del passaggio del sistema di controllo in capo alla Bce guidata da Mario Draghi. Si tratta dell’evoluzione dei tempi, da molti contestata ma resa ancor più rapida dalla crisi. Detto questo rimane una domanda di non poco conto: con il progressivo depauperamento delle sue funzioni, a cosa serve esattamente la Banca d’Italia?
Anche perché, numeri alla mano, e pur dando atto dei risparmi ottenuti nel corso del tempo, l’Istituto con sede a palazzo Koch continua a costare un bel po’. Tanto per dirne una la Banca d’Italia, oggi governata da Ignazio Visco, vanta ancora qualcosa come 7.027 dipendenti, di cui 4.431 presso l’amministrazione centrale e 2.596 nelle filiali territoriali. Il costo complessivo dei loro stipendi, sulla base dell’ultimo bilancio 2013, è di 599 milioni di euro.
Questo significa, precisa il documento contabile, una retribuzione media lorda pro capite di più di 80 mila euro l’anno. Il conto però sale a 801 milioni se si comprendono contributi previdenziali e altre spese per il personale, incluse diarie e missioni per trasferimenti. E si tratta solo di una parte degli 1,8 miliardi di spese e oneri diversi che ogni anno la Banca si porta via (comunque in diminuzione di 23 milioni rispetto all’anno precedente).
Insomma, si può partire da qui per capire quanto pesi ancora il “corpaccione” dell’Istituto. A proposito di filiali, poi, non si può fare a meno di notare che oggi sono la bellezza di 58. Per carità, rispetto alle 97 del 2008 il taglio c’è stato, ma la cifra rimane ancora ragguardevole. Siamo sicuri che servano tutte, in un contesto che richiede sempre meno funzioni? Di sicuro ci sono ancora margini di razionalizzazione.
Gli stipendi, come detto, pesano per 599 milioni (in discesa rispetto ai 603 del 2012). E’ appena il caso di ricordare che il governatore Visco prende 495 mila euro lordi l’anno, seguito dal direttore generale Salvatore Rossi (450 mila euro) e dai tre vicedirettori Fabio Panetta, Luigi Federico Signorini e Valeria Sannucci (315 mila euro ciascuno). Stipendi ben al di sopra dei 240 mila euro di tetto ai compensi nella Pa.
Ma la Banca d’Italia è esclusa dall’applicazione del tetto perché tecnicamente non rientra nel perimetro delle pubbliche amministrazioni. Così come, per lo stesso motivo, l’Istituto sfugge all’applicazione della norma del decreto Madia che vieta a chi già riceve la pensione di ottenere incarichi direttivi. A tal proposito Visco e Rossi, entrambi classe 1949 e in quiescenza, cumulano il trattamento previdenziale al loro ricco stipendio (anche se, va detto, il decreto Madia vale per gli incarichi conferiti dopo la sua entrata in vigore).
Sempre in tema di stipendi si può rilevare come la Banca eroghi 31.710 euro lordi l’anno anche a ciascuno dei 13 membri del consiglio superiore. Tra questi ci sono pure nomi noti come il re del caffè Andrea Illy e l’ex presidente della Corte costituzionale Cesare Mirabelli. Certo, queste ultime cifre sono solo una goccia nell’oceano degli 1,8 miliardi di costi complessivi. Oltre ai 599 milioni di compensi ci sono 441 milioni di spese di amministrazione, al cui interno spiccano 36 milioni di costi per l’assistenza sistemistica, 37 milioni per il noleggio e la manutenzione dei software, 36 milioni per gli oneri per materie prime e materiali per la produzione di banconote, 74 milioni per servizi di sicurezza e scorta valori, 58 milioni per la manutenzione degli immobili, 29 milioni per le utenze e via dicendo.
E poi c’è la voce “pensioni e indennità di fine rapporto”, che nel 2013 ha ingoiato 293 milioni. Certo, va detto che palazzo Koch ha fatto segnare 3 miliardi di utile netto, di cui 1,89 trasferiti allo Stato. Così come ha versato all’Erario 1,34 miliardi di Ires e 303 milioni di Irap. Ma i costi complessivi, visti i tempi che cambiano, sembrano ancora molto pesanti.
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