Economia

“Basso costo del lavoro all’origine della crisi europea”

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Roma – Secondo il politologo Giovanni Sartori la destra e la sinistra stanno affrontando lo stesso dilemma: come competere con la tecnologia cinese o indiana?

“È una delle ultime icone della politologia italiana”, si legge sul quotidiano messicano Informador. “A più di 80 anni la sua lucidità e il suo entusiasmo per il lavoro sono invidiabili. È Giovanni Sartori, ex professore delle università di Yale, Stanford e Pisa”.

Durante l’intervista Sartori si e’ detto scettico sul fatto che i governi europei, tanto di sinistra quanto di destra siano in condizione di risolvere la crisi attuale, in quanto prigionieri dello squilibrio creato dalla globalizzazione economica.

Il professor Sartori ha aperto le porte di casa sua per parlare non soltanto della politica e dell’economia europee ma anche, e soprattutto, del ruolo che giocano i partiti del Vecchio Mondo nel quadro della congiuntura critica che sta vivendo l’Europa comunitaria. Una crisi che, secondo lui, ha come sostrato il grande sviluppo tecnologico e il basso costo del lavoro nei cosiddetti paesi emergenti.

Il fenomeno ha minato la competitività del Vecchio Continente e ne ha frenato la crescita economica, generando allo stesso tempo disoccupazione e tensioni sociali che non sembrano esser state risolte con la tanto discussa ricetta tedesca che punta soprattutto sull’austerità per ridurre il pesante debito sovrano dei paesi dell’eurozona.

Quel che è accaduto durante le elezioni nel Nord Reno-Westfalia è una delle conseguenze di questa crisi, che castiga tutti i governi per i sacrifici che impone.

L’INTERVISTA INTEGRALE

Escludendo quella francese, le sinistre europee sembrano vivere una crisi che alcuni attribuiscono all’assenza di leadership e programmi. Che cosa ne pensa?

– Il trionfo di Francois Hollande in Francia segna un ritorno della sinistra ed è possibile che anche in Germania ritorni al potere e questo, dato che si tratta di paesi rilevanti in Europa, è un segnale molto positivo.
In Spagna e Inghilterra ha perso la sinistra, conseguenza della crisi economica, che sempre viene imputata ai governi, ma anche dell’alternanza, assolutamente normale in tutte le democrazie.

Partendo dal fatto che sembra non considerare la crisi della sinistra, come vede il suo futuro nell’attuale contesto politico-economico dell’eurozona?

– L’Europa è diversa dal resto del mondo per la sua unità economico-monetaria, non politica e, nonostante questo la condizioni moltissimo, non può utilizzare l’importante strumento della svalutazione come i Paesi indipendenti. A mio avviso il suo grande problema è la globalizzazione economica, dal momento che Paesi con eguali tecnologie e con un basso costo del lavoro e della manodopera le hanno creato un grave problema di disoccupazione e competitività, dovuto all’alto costo del lavoro nei paesi dell’eurozona.

In questo contesto qual è il futuro della politica europea?

– Direi che il problema per la sinistra e la destra europee sia lo stesso. Entrambe sono prigioniere di questo squilibrio che rende impossibile competere con paesi tecnologicamente avanzati come Cina o India, a causa di un costo del lavoro 10 volte inferiore rispetto a quello europeo.

Il passato mi fa pensare che quel determinismo economico tipico del marxismo e tanto criticato, che faceva passare la politica in secondo piano, non era poi così sbagliato.

La politica, che sia di destra o di sinistra, con una crisi economica senza precedenti come quella attuale e senza strumenti efficaci per combatterla, si mostra impotente davanti a tale fenomeno.

Anni fa avevo suggerito di creare delle aree economiche comuni, per sopportare meglio i contrastanti livelli del costo del lavoro, ma l’Europa scelse questa forma assurda che non ha fatto altro che aumentare il problema e, in particolare, la disoccupazione.

Ma era tanto difficile prevedere che unendo economie così diverse si sarebbero creati questi problemi?

– L’Unione Europea si è estesa tanto, fino ai paesi dell’est, per le gioie dei politici. A mio avviso, il nucleo centrale sarebbe dovuto rimanere piccolo e successivamente, con lo sviluppo delle economie in altri paesi, lo si doveva far crescere. Ma non è stato così e oggi bollono in questa enorme pentola molte cose che si sarebbero potute evitare.

Tornando alla crisi, crede che le proposte di Hollande, che non sono solo della Francia, bastino per rilanciare la politica e l’economia in Europa?

– Credo che il vizio originario al quale mi riferivo in precedenza renda insufficienti le sue proposte e quelle della destra, perché sembra molto difficile che possano ridurre la disoccupazione, soprattutto a causa del forte indebitamento della maggioranza dei paesi, che logicamente impedisce di finanziare un rilancio economico. Bisogna produrre di più, ma non c’è denaro a sufficienza per stimolare la produzione.

Per questo motivo, e insisto, non credo che le proposte di Hollande possano risolvere il problema, la cui origine è ben diversa e molto più complessa, nonostante l’eccezione sia rappresentata dala Germania, un paese dove si lavora seriamente ed esiste una buona relazione tra imprese e sindacati.

Però Hollande propone una riduzione della pressione fiscale per stimolare la produzione.

– Credo che gli economisti, e anche quelli che sono dietro ad Hollande, siano un disastro perché conoscono poco e male il mondo reale. Si sono dedicati all’economia finanziaria, bancaria, che genera molti soldi, mentre gli economisti classici hanno sempre scommesso sull’economia produttiva, l’economia reale.

Il risultato di questo cambio di visione è l’attuale voragine nella quale ci troviamo. Una volta, parlando del costo del lavoro, un economista mi disse: “Però i salari dovranno aumentare nei paesi emergenti”. Si, certo, gli risposi, però dobbiamo fare i conti con 700 milioni di contadini cinesi.

Tra i leader europei ne esiste qualcuno che sia capace di offrire alternative reali alla politica della signora Merkel?

– Fino a questo momento non ho capito bene il programma dei Pirati tedeschi, però il nome non mi ispira molta fiducia.

In Italia, intanto, abbiamo Beppe Grillo, un comico che sta raccogliendo molti consensi grazie al suo movimento che, per non aver dietro nessuna organizzazione o partito, io definisco “liquido” e si dissolve tra le mani. Credo, nonostante questo, che Grillo potrebbe governare bene una città, ma le cose cambierebbero se dovesse arrivare al potere centrale, perché non ha neppure un programma.

Lasciando da parte questi movimenti, vede qualcuno in Europa che sia capace di proporre un programma alternativo a quello tedesco?

– No, perché il problema non è avere un leader intelligente e carismatico, ma quello della globalizzazione delle economie produttive, che sembra incontrollabile e irreversibile.

PROFILO

Il professore Giovanni Sartori è nato a Firenze nel 1924. Nel 1946 si è laureato in Scienze Sociali all’Università di Firenze.
Ha fondato il primo istituto di Scienze Politiche in Italia. Tra il 1976 e il 1994 è stato Albert Schweitzer Professor in the Humanities alla Columbia University.

Nel 2005 Sartori ha vinto il premio Principe delle Asturie per le Scienze Sociali. Sartori è stato, inoltre, un collaboratore fisso de Il Corriere della Sera. Nel 2007 è stato nominato Dottore Honoris Causa dall’Università Nazionale Autonoma del Messico.

Tra le sue opere principali ricordiamo: Antologia di Scienza Politica, La democrazia in 30 lezioni, Democrazia: cosa è, Homo Videns, televisione e post pensiero e Pluralismo, multiculturalismo e estranei: saggio sulla società multietnica.

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