ROMA (WSI) – Eurozona in apnea: la carrellata di dati macro continua a essere negativa, confermando la minaccia della deflazione e la frenata della ripresa. Ma un altolà alle misure straordinarie della BCE – considerate dai mercati comunque necessarie, viste le penose condizioni in cui annaspa l’economia dell’area euro – arriva come sempre dalla Germania, e stavolta dalla stessa Deutsche Bank, banca numero uno del paese.
Mentre Lorenzo Bini Smaghi, dalle colonne del Financial Times, ribadisce l’importanza del quantitative easing John Cryan, numero uno della banca tedesca, rimprovera aspramente la Bce di Mario Draghi e si scaglia contro la politica dei tassi negativi.
Così Cryan, mentre manca esattamente una settimana alla riunione della Bce del 10 marzo. Una riunione considerata cruciale, dal momento che è stato lo stesso Draghi a confermare la sua disponibilità a rivedere la politica monetaria dell’istituto, proprio nella riunione di marzo. Ma i falchi tedeschi sono sempre in agguato:
“Credo che la politica monetaria debba dirigersi verso un’altra strada. Un contesto di tassi di interesse più normalizzato, penso, sarebbe un contesto più sicuro (…) La più grande paura sui mercati è che il principale strumento che è stato utilizzato dalle banche centrali per tentare di generare la crescita economica..non abbia ormai più alcuna forza”. Inoltre: “uno dei principali fattori di rischio che incombono sulla nostra banca è la minaccia che i tassi di interesse diventino ancora più negativi. Ciò significa far pagare di più per il credito. Le banche non possono…assorbire le perdite”.
Con i tassi di interesse negativi, le banche dovrebbero pagare, nel caso in cui decidessero di parcheggiare i depositi presso la Bce. La misura è stata lanciata proprio per impedire che le banche continuino a parcheggiare liquidità presso la banca centrale, liberando piuttosto risorse per l’economia malandata dell’Eurozona. In generale, la nuova era di tassi a zero sicuramente non è un elemento a sostegno della redditività delle banche.
L’appello di Cryan rimarrà inascoltato?
Non proprio. Stando a quanto rende noto Bloomberg, in queste ore Draghi & Company starebbero vagliando proprio le misure da annunciare il prossimo 10 marzo, consapevoli che esiste il rischio che alla fine il loro piano salti in aria.
Di fatto, se la redditività delle banche continuerà a essere colpita, le banche non faranno proprio quello che ha portato la Bce ad adottare manovre di politica monetaria ultraespansive: far circolare denaro ed erogare prestiti all’economia reale.
Un’opzione è quella di creare un sistema a due livelli dei tassi sui depositi (che al momento sono pari a -0,3%). In questo modo, le banche pagherebbero tassi negativi solo sulla porzione dei fondi parcheggiati presso la Bce che eccedano una certa soglia.
Intervistato da Bloomberg, Frederik Ducrozet, economista presso Banque Pictet & Cie, a Ginevra, commenta:
“Un modo semplice potrebbe essere quello di decidere che tutta la liquidità extra ricevuta dalla Bce attraverso le operazioni TLTRO (ovvero finanziamenti da parte della Bce alle banche a tassi agevolati) non venga soggetta a tassi negativi e venga dunque considerata alla stregua di riserve richieste, e non come liquidità in eccesso. E’ necessario trovare un modo per aumentare la quota di riserve bancarie che non sia soggetta a tassi negativi, per essere sicuri che l’espansione del credito continui”.
Intanto Bini Smaghi difende le scelte della sua ex banca (Bini Smaghi è stato membro del Consiglio Direttivo della Bce) , anche se ammette che l’impatto delle manovre della Bce si sta via via raffreddando:
“Le banche centrali di tutto il mondo si stanno imbattendo sempre più spesso nei limiti delle loro stesse politiche, in particolare quelle del Quantitative easing. Nell’Eurozona, la maggior parte degli indicatori sembra suggerire che la politica monetaria ha esaurito i propri effetti. Rispetto all’inizio del QE un anno fa, i tassi di interesse di lungo termine, gli spread tra i rendimenti, le attese sull’inflazione e il tasso di cambio con l’euro sono tutti più elevati. L’impatto maggiore, di fatto, è stato prodotto prima che la politica (del QE) venisse lanciata e durante i suoi primi mesi. (Ma) più il tempo passa, e meno effetti (tale politica) sembra avere”.
Detto questo, quale potrebbe essere l’alternativa, si chiede Bini Smaghi?
“La risposta non è ovvia. La Federal Reserve si è fermata e poi ha rilanciato il QE due volte, perchè ha rlevato che le conseguenza della fine del QE erano peggiori di quelle che si sarebbero presentate se il QE fosse continuato. Alla fine (la Fed) ha interrotto il QE nell’ottobre del 2014, dopo che erano trascorsi più di sei anni dal suo inizio, dal momento che l’economia aveva dimostrato di essere su un percorso di solida ripresa. In Europa, l’esperienza recente ha mostrato che una qualsiasi notizia su una possibile riduzione del QE genera un maggiore deterioramento degli indicatori di cui sopra. Le aspettative sull’inflazione sono scese ulteriormente, gli spread tra i tassi di interesse sono saliti e l’euro si è immediatamente apprezzato. Solo forti messaggi da parte della Bce che suggeriscono che il QE non sarà fermato e anzi possa essere anche rafforzato sono stati capaci di rovesciare il peggioramento del sentiment di mercato”.