Economia

Draghi rischia di perdere tutta la credibilità

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Non sarà un anno tranquillo per Mario Draghi. Con le decisioni prese a dicembre il presidente della Bce sperava di liberarsi dalla trappola politica in cui si trovava e invece non ha fatto che peggiorare la sua situazione e ora si trova sempre di più assediato tra due fuochi nemici. Dopo aver apportato modifiche al piano di Quantitative Easing e confermato la politica di tassi bassi, il banchiere sperava di poter vivere un anno sereno nel 2017.

Invece da una parte le autorità della Germania, terrorizzate dallo spauracchio di una reflazione, stanno facendo pressione perché Draghi interrompa il programma di bazooka monetario, e dall’altra alcuni economisti, come Frederik Ducrozet di Pictet Asset Management, hanno messo in discussione le decisioni prese a dicembre e

“La grande delusione è stata la prova dell’importanza che hanno avuto nella scelta di Draghi le limitazioni tecniche e politiche. Ho capito il concetto di “ho sottovalutato gli ostacoli”, ma non è coerente con la dichiarazioni di Draghi secondo cui avrebbe fatto di tutto” pur di salvare l’euro (il riferimento è al famoso “Whatever it takes” pronunciato a luglio 2014).

Gli economisti temono che la banca, se dovesse cedere alle pressioni dei falchi e ridimensionare gittata e portata del QE, comprometterà ulteriormente la sua credibilità e quella della sua missione centrale, ossia quella di garantire il mantenimento della stabilità dei prezzi.

Draghi sta perdendo ulteriormente credibilità

La Bce non reagisce più alle notizie che giungono dal fronte macro in una maniera prevedibile. Anzi, Draghi e i suoi colleghi del direttorio hanno cambiato rotta quando hanno indicato l’intenzione di restare sui loro passi quest’anno senza apportare modifiche ai piani di intervento.

“Il messaggio fin qui era invece stato quello di essere sempre pronti a rispondere”, dice al Financial Times Richard Barwell, economista di BNP Paribas Investment Partners. “L’obiettivo sembra molto più modesto ora e le loro azioni molto meno coraggiose”. Secondo Barwell la banca sembra più impegnata a fare il possibile per scongiurare una deflazione piuttosto che un istituto preoccupato a raggiungere gli obiettivi di inflazione prefissati.

“C’è il pericolo che perdano la loro credibilità: c’è tutta la differenza di questo mondo tra un istituto che si pone come obiettivo costante quello di raggiungere senza limitazioni la soglia di inflazione e un istituto dalle potenzialità limitate che cerca di evitare la deflazione”.

A dicembre la banca centrale europea ha deciso di allungare di altri nove mesi la durata del QE, fino a fine 2017, riducendone però al contempo la durata. Da aprile a dicembre la Bce comprerà 60 miliardi di bond al mese e non 80 miliardi come avverrà fino a marzo. Nel frattempo Draghi ha dato alla Bce il permesso di acquistare anche titoli che rendono di meno del tasso di deposito (-0,4%), una mossa dichiaratamente a favore dei Bund tedeschi.

Draghi, una strategia sbagliata

Draghi ha in parte deluso perché non ha avviato misure di sostegno mirate ai Btp e agli titoli della periferia meno virtuosa dell’area euro. Ma il suo intento era chiaro: visto l’anno delle super elezioni che si prospetta in Europa, la Bce non voleva confondere ulteriormente le idee e ha preferito varare una politica stabile per l’anno appena iniziato, che non dovrebbe subire variazioni a meno di sorprese straordinarie dal versante economico/politico, oppure di un collasso del sistema bancario italiano.

L’Olanda prima, la Francia poi, e infine la Germania, dove le misure straordinarie di allentamento monetario sono decisamente impopolari, sono chiamate al voto. Il popolo si recherà alle urne per scegliere i leader di tre grandi potenze europee.

Un motivo in più per pensare che alla riunione di giovedì lo status quo di tassi e QE rimarrà invariato e Draghi confermerà senza dubbio il pacchetto di misure annunciato a dicembre. I prezzi al consumo e le aspettative di inflazione sono contenute ancora lontane dalla soglia obiettivo del 2%. Il problema è diventata la Germania.

L’inflazione dovrebbe raggiungere il target della Bce nel 2019, stando alle previsioni attuali. Ma l’inflazione in Germania è già salita all’1,7% a dicembre, un bel balzo dallo 0,8% di novembre. Questo spingerà i falchi del board della Bce, in primis la Bundesbank tedesca, a chiedere a Draghi di mettere fine al Quantitative Easing

In un contesto di tassi ultra bassi e dato il diffondersi di un sentimento sempre più anti europeo e in un paese che ha un’enorme fobia dell’inflazione come la Germania, gli appelli alla Bce perché la smetta di penalizzare i risparmiatori tedeschi e alzare il costo del denaro sono stati immediati. Per una eventuale revisione dei piani di politica monetaria, bisognerà aspettare probabilmente marzo.

Draghi farebbe bene ad affrontare tutte queste problematiche il prima possibile quest’anno, senza aspettare giugno o settembre quando il consiglio di politica monetaria dovrà stabilire cosa fare sul lungo termine, l’anno successivo. Se l’inflazione dovesse restare bassa non si capisce cosa Draghi possa fare di più ora che ha eliminato anche le ultime limitazioni al piano di acquisti di titoli di Stato.