Per anni si è discusso delle divergenze fra la politica monetaria della Banca centrale europea e quella adottata dalla Federal Reserve. L’arrivo della crisi sanitaria, in verità, ha stimolato una rapida reazione di tipo espansivo per entrambe le banche centrali, a differenza di quanto avvenuto, ad esempio, in occasione della crisi del 2008.
Bce e Fed, gli obiettivi della politica monetaria
Per confrontare le decisioni della Banca centrale europea con quelle della Federal Reserve non si può prescindere dagli obiettivi di politica monetaria ad esse assegnati. Per quanto simili, infatti, i due mandati non coincidono. Nel caso della Fed i target (previsti nel Congress in the Federal Reserve Act) sono: “(1) massima occupazione, il che significa che tutti gli americani che vogliono lavorare abbiano un’occupazione lucrativa e (2) prezzi stabili per i beni e servizi che tutti acquistiamo”. L’obiettivo della piena occupazione conquista, così, il primo posto nelle priorità di policy della Fed. Nel caso della Banca centrale europea, i target sono posti in modo piuttosto diverso.
L’articolo 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea affida alla Bce l’obiettivo primario della stabilità dei prezzi, gli altri target sono esplicitamente messi in secondo piano.
“Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi”, si legge sul sito ufficiale della Bce citando il Trattato di Lisbona, l’Eurosistema “sostiene inoltre le politiche economiche generali dell’Unione al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Unione”. Questi includono tra l’altro la “piena occupazione” e la “crescita economica equilibrata”.
E’ la stessa Bce ha ricordare che “il trattato stabilisce una chiara gerarchia di obiettivi per l’Eurosistema” e che esso “assegna un’importanza fondamentale alla stabilità dei prezzi”. La valutazione sui livelli occupazionali, pertanto, è di gran lunga più rilevante per la Fed di quanto non sia per la Bce. Quest’ultima abbraccia “l’ampio consenso” per il quale la politica monetaria non può che influenzare l’output solo nel breve termine. Per tale ragione “la Bce normalmente dovrebbe evitare di generare fluttuazioni eccessive nella produzione e nell’occupazione se ciò è in linea con il perseguimento del suo obiettivo primario”, ovvero la stabilità dei prezzi.
Anche gli stessi livelli d’inflazione perseguiti dalle due banche centrali non coincidono del tutto. Il Federal open market committee, responsabile per le decisioni di politica monetaria della Fed, ha stabilito che il tasso del 2% annuo relativo all’indice PCE (price index for personal consumption expenditures) è il più in linea con il mandato statutario della banca. Per quanto riguarda la Bce il tasso d’interesse ideale si trova “vicino, ma al di sotto del 2%” ed è pertanto leggermente più basso rispetto a quello prescritto nel mandato della Fed.
Gli aspetti comunicativi
Alcune differenze nell’approccio delle due banche centrali sono state individuate al di là delle prescrizioni di mandato. Nel settembre 2019 il capo economista globale di BNP Paribas, William De Vijlder, aveva messo in luce come la Fed si fosse dichiarata “dipendente dai dati” nella definizione delle decisioni, mentre la Bce fondava la sua policy sulla base della forward guidance (ovvero su una serie di previsioni) e l’eventuale gap rispetto agli obiettivi sull’inflazione. “Questa politica dovrebbe ridurre la sensibilità dei mercati finanziari della zona euro alle sorprese prodotte dai dati, perché questi ultimi non influenzeranno la posizione della politica monetaria finché l’inflazione sarà troppo bassa rispetto all’obiettivo della banca centrale”, aveva argomentato l’economista di Bnp Paribas.
I tassi negativi
Al di là di questi aspetti comunicativi, non può non essere menzionata la diversa impostazione da parte della Federal Reserve per quanto riguarda l’adozione dei tassi negativi. In questo momento la Bce applica un tasso negativo del -0,50% sui depositi presso la banca centrale. Secondo i sostenitori dei tassi negativi caricare un costo sui questi depositi costituirebbe un incentivo al credito per le banche. Queste ultime, infatti, non solo non potrebbero sperare in una remunerazione dei propri depositi presso la Bce, ma dovrebbero accettare di pagare un tasso negativo. La Federal Reserve non ha mai seguito la Bce su questo terreno e non sembra intenzionata a farlo. Lo scorso maggio il presidente della Fed, Jerome Powell, aveva esplicitamente respinto la richiesta del presidente Trump a prendere in considerazione i tassi negativi.