Questo pomeriggio il Comitato Direttivo della Bce annuncerà con ogni probabilità l’innalzamento dei tassi di interesse di 25 punti base, portando il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali al 4,25% e il tasso sui depositi al 3,75%. Restano però forti dubbi sulle mosse future dell’istituto di Francoforte, che dipenderanno in gran parte dai dati in uscita nelle settimane seguenti. Ecco alcune opinioni in merito, oltre ad un’analisi sull’impatto dei nuovi aumenti dei tassi sui mutui.
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Nel frattempo, ieri sera, con decisione unanime, è arrivato un ulteriore innalzamento dei tassi di interessi da parte della Fed. Con il rialzo di 25 punti base, il costo ufficiale del credito per gli Stati Uniti sale al 5,25-5,50%. Dunque, dopo la pausa di giugno, il comitato di politica monetaria (Fomc, Federal Open Market Committee) è tornato ad aumentare i tassi senza modificare l’orientamento per il futuro.
Bce, verso una sosta dopo luglio?
Per quanto riguarda la BCE, se la stretta dello 0,25% è ormai acquisita, negli ultimi tempi si è fatta largo tra gli operatori di mercato l’ipotesi di una pausa a settembre nel ciclo restrittivo. In particolare, gli investitori si sono soffermati sulle parole del governatore della banca centrale olandese Klaas Knot, ritenuto uno dei “falchi” (ovvero i membri più favorevoli a rialzi dei tassi) del consiglio direttivo.
Knot ha affermato che un ulteriore aumento del costo del denaro nella riunione successiva, in programma il 14 settembre, rappresenta “al massimo una possibilità” e “in nessun modo una certezza”. Il banchiere ha poi ribadito l’approccio data-dependent, un mantra della presidente Christine Lagarde, aggiungendo che “da luglio in poi dovremo osservare attentamente ciò che ci dicono i dati sulla distribuzione dei rischi”.
Anche il governatore uscente della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha posto l’accento sull’importanza dei dati e ha sottolineato che servirà equilibrio nelle decisioni: “C’è il rischio di fare troppo e credo che dobbiamo stare attenti a questo.” Tuttavia, “c’è anche il rischio di fare troppo poco, quindi dobbiamo essere equilibrati e decidere sulla base delle informazioni in arrivo”.
Ma c’è anche chi pensa che la Bce abbia ancora terreno da percorrere prima di arrestare la sua campagna di inasprimento monetario.
Tra questi il Ceo di Unicredit, Andrea Orcel, secondo il quale ci sono “alte probabilità” di una stretta monetaria anche a settembre. Il motivo è sempre lo stesso: le prospettive di crescita dei prezzi ancora troppo elevate. “L’inflazione secondo noi scenderà intorno al 6% nel 2023, dall’8,1% dell’anno scorso, e poi al 2,4% nel 2024″. Dunque, anche l’anno prossimo la crescita dell’inflazione dovrebbe superare il target del 2%, livello che “rischia di essere l’obiettivo di un mondo che non c’è più”.
Dopo l’aumento di luglio e quello possibile di settembre, “la Bce dovrà valutarne l’impatto e capire come procedere”. In ogni caso, “i tassi sono destinati a rimanere alti per un certo tempo. Prima di invertire la rotta la Bce vorrà essere davvero sicura che non sia troppo presto, nel rispetto del suo mandato”.
Nella riunione di giovedì prossimo sarà dunque importante valutare soprattutto eventuali indicazioni relative alle prospettive sui tassi per il futuro, anche se è improbabile che la Lagarde si sbilanci in tal senso.
L’impatto dei tassi sui mutui si fa più stringente
Quel che è certo è che il contesto di tassi elevati continua a pesare sui mutui, come evidenziato dalle simulazioni della Fabi, la Federazione Autonoma Bancari Italiani. “Le rate dei mutui a tasso fisso sono destinate a raddoppiare, mentre quelle dei mutui a tasso variabile cresceranno fino al 60%”, afferma Giorgio Broggi, Quantitative Analyst di Moneyfarm, in relazione ai dati della Fabi. “Già adesso, a causa dell’aumento dei tassi di interesse e della corsa dell’inflazione, le rate non pagate ammontano a 14,9 miliardi di euro.”
Il trend rialzista degli oneri di finanziamento è confermato anche dai dati Bankitalia: “a maggio il tasso di interesse medio sui mutui (comprensivo delle spese accessorie, Taeg) è cresciuto al 4,58%, dal 4,52% di aprile e dal 4,36% di marzo. Per quanto riguarda il credito al consumo, il Taeg sulle nuove erogazioni ha toccato il 10,43% (contro il 10,29% di aprile). Sono aumentati anche i tassi sui prestiti concessi alle società non finanziarie, passati dal 4,52% di aprile al 4,81% di maggio.”
I tassi elevati rallentano la domanda di prestiti
I rialzi dei tassi della Bce stanno effettivamente rallentando la domanda di credito, con effetti sui consumi, il mercato immobiliare e l’edilizia.
Il mese di giugno ha visto un’ulteriore diminuzione dei prestiti bancari nell’Eurozona, sia verso le famiglie che verso le aziende. Nel dettaglio, i prestiti alle aziende non finanziarie hanno rallentato la crescita annua dal 2,1 all’1,7% e quelli alle famiglie dal 4 al 3%; su base mensile, i prestiti alle famiglie hanno registrato un calo e quelli alle imprese sono rimasti stagnanti. Per il momento, si tratta di un processo graduale, ma che avrà senz’altro un effetto sostanziale sull’attività economica e sull’inflazione in futuro.
Un sondaggio della Bce prevede un ulteriore irrigidimento degli standard e una continua debolezza nella domanda di credito. Di conseguenza, il dibattito sulla possibilità di ulteriori aumenti dei tassi diventa sempre più acceso. Le autorità monetarie dovranno essere in grado di trovare un equilibrio tra la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria, per rallentare l’inflazione senza effetti catastrofici sull’economia reale.