Cresce l’attesa per la riunione della Bce, in programma questo giovedì, 26 ottobre. Ecco i temi chiave del meeting e le aspettative degli analisti, anche alla luce degli ultimi dati deboli sulla crescita economia e sulle condizioni nel settore del credito.
Le attese degli analisti sulle delibere della Bce
Dal meeting di politica monetaria di questa settimana, il penultimo del 2023, non sono attese manovre sui tassi di interesse. Nell’ultima riunione il Consiglio Direttivo ha alzato i tassi di 25 punti base, affermando che ora si trovano ora su livelli sufficientemente restrittivi per contribuire al ritorno dell’inflazione verso il target del 2%, se mantenuti per un tempo adeguato.
Dopo dieci aumenti consecutivi il ciclo restrittivo sembra dunque essere giunto al termine, anche se il costo del denaro verrà mantenuto elevato per un certo orizzonte temporale. Gli operatori di mercato stimano un primo taglio dei tassi di 25 punti base entro giugno 2024.
Focus su Pepp e coefficienti di riserva obbligatoria
Come sottolineato nei giorni scorsi da MPS, “sarà soprattutto importante seguire la conferenza stampa di Christine Lagarde per capire se emergeranno indicazioni sulle mosse future, anche alla luce dei recenti sviluppi geopolitici”.
Nel corso del meeting i funzionari potrebbero soffermarsi in particolare su due aspetti: un eventuale “stop anticipato al reinvestimento dei titoli acquistati tramite PEPP” – la cui scadenza attuale è prevista a fine 2024 – e “l’innalzamento del coefficiente di riserva obbligatoria.”
Interruzione anticipata del PEPP
La conclusione anticipata dei reinvestimenti nell’ambito del programma di acquisti pandemici (PEPP) rappresenta un tema delicato per i funzionari di politica monetaria.
Da un lato, la Bce deve ridurre il proprio portafoglio di obbligazioni, coerentemente con l’inasprimento delle condizioni di credito perseguito attraverso gli aumenti dei tassi di interesse, dopo aver acquistato titoli per 1.700 miliardi di euro per sostenere la ripresa. Dall’altro lato, però, gli acquisti del PEPP possono tornare utili per proteggere Paesi fortemente indebitati, come l’Italia, da eventuali oscillazioni eccessive dei rendimenti. Un eventuale stop, quindi, rischia di aumentare la vulnerabilità di questi Stati alle speculazioni di mercato.
Secondo alcuni analisti, ritardare eccessivamente il quantitative tightening rischia tuttavia di creare incertezza, in quanto la dismissione del PEPP avverrebbe poi in concomitanza con i tagli dei tassi, mandando messaggi contrastanti agli investitori.
Aumento delle riserve obbligatorie presso la Bce
L’altro grande interrogativo riguarda un eventuale aumento dei requisiti obbligatori di riserva che gli istituti devono detenere presso la Bce. Questo, nell’ottica di forzare le banche a ridurre la liquidità in circolazione e agevolare il ritorno dell’inflazione verso il 2% nel medio termine.
Secondo fonti citate da MPS nelle scorse settimane, “molti membri sembrerebbero orientati ad alzare il coefficiente di riserva obbligatoria dall’1% attuale dei depositi al 3-4%”, di fatto triplicando l’ammontare di liquidità remunerata allo 0%, dopo la Bce ha eliminato la remunerazione sulla riserva obbligatoria (precedentemente in linea con il tasso sui depositi, giunto al 4%).
Per Equita Sim, l’incremento della riserva obbligatoria potrebbe avere “un impatto negativo – a parità di condizioni – del -3%/5% sulle nostre stime di utile per il settore”.
I risultati dell’indagine Bce sul credito
Nelle discussioni di giovedì, l’istituto di Francoforte dovrà tenere in considerazione anche la ‘Bank lending survey’ pubblicata stamani, da cui emerge un ulteriore inasprimento degli standard creditizi per i prestiti a famiglie e imprese nel terzo trimestre nella zona euro, a causa del peggioramento della congiuntura e dei tassi più elevati.
Il report sul credito bancario, pubblicato con cadenza trimestrale, sottolinea che “la domanda di prestiti da parte di imprese e famiglie ha continuato a diminuire fortemente”.
Con riferimento al quarto trimestre del 2023 “le banche dell’area dell’euro si aspettano un ulteriore, seppur più moderato, inasprimento netto dei criteri di credito sui prestiti alle imprese e criteri di credito sostanzialmente invariati sui prestiti alle famiglie per l’acquisto di case. Per quanto riguarda il credito al consumo, le banche dell’area euro prevedono un’ulteriore significativa stretta netta”.
Pmi: crescita più debole a ottobre, rischio contrazione Pil
Anche sul fronte macroeconomico giungono segnali di rallentamento. In particolare, gli indici di S&P Global pubblicati stamattina hanno evidenziato una contrazione del Pmi composito da 47,2 a 46,5 punti – chiaramente al di sotto della soglia di 50 che separa espansione e contrazione. Gli economisti si aspettavano un leggero miglioramento a 47,4.
L’economia della regione è alle prese con una serie di ostacoli, legati non solo ai tassi ma anche al rischio di aumento dei prezzi energetici, in scia alle tensioni in Medioriente. La flessione è generalizzata ed accompagnata da segnali di debolezza anche nel mercato del lavoro, suggerendo che l’eurozona potrebbe ancora entrare in recessione.
Secondo gli analisti di ING, “l’ulteriore indebolimento dell’attività economica, il rallentamento dell’inflazione e il calo dei prestiti bancari indicano tutti un allentamento della pressione sulla Bce, poiché la politica sta chiaramente avendo l’effetto desiderato.” Gli esperti sottolineano come l’impatto dei rialzi dei tassi sia atteso soprattutto all’inizio del 2024, quindi nei prossimi meeting la Bce potrebbe considerare maggiormente i rischi legati ad un eccessivo inasprimento.