ROMA (WSI) – «Non si può stare a letto con il nemico», diceva ieri mattina Silvio Berlusconi. Che era già pronto a consumare il divorzio dal governo, a convocare per domani l’ufficio di presidenza del Pdl, presentarsi davanti al Paese domenica con un video messaggio per spiegare i motivi della crisi, attaccare la magistratura politicizzata, annunciare la nascita di Forza Italia e invocare il ritorno alle urne «contro tutto e contro tutti» per una «nuova rivoluzione liberale».
«Non si può stare a letto con il nemico», ripeteva ancora ieri sera il Cavaliere, che il video messaggio l’ha registrato ieri pomeriggio e tuttavia ha accolto i suggerimenti dei capigruppo del Pdl Schifani e Brunetta, e di quanti nel partito l’hanno invitato ad attendere fino a lunedì, fino alla riunione della giunta di palazzo Madama che dovrà decidere sulla sua decadenza, «altrimenti Silvio – se rompessi prima – verresti dipinto come il nemico del popolo e ti assumeresti la responsabilità della caduta del governo senza averne alcun vantaggio, perché Napolitano non ti farebbe mai votare in autunno».
Così è stata costruita una fragile tregua, che fa perno sulla missione affidata ad Augello, relatore del «caso Berlusconi» in Senato, e che sta predisponendo un documento in base al quale lunedì il Pd dovrà in pratica dichiarare se è disposto a concedere al leader del centrodestra la possibilità di appellarsi alla Corte di giustizia europea (non alla Consulta) per sfuggire al cappio della legge Severino che lo porrebbe definitivamente ai margini della politica, decretandone l’incandidabilità per i prossimi sei anni.
Ma c’è un margine giuridico che garantisca un onorevole compromesso politico su un tema che ha un fortissimo valore simbolico? È possibile cioè che in una giunta parlamentare, in poche ore, Pd e Pdl riescano a chiudere una guerra che dura da venti anni?
È possibile insomma che i Democratici concedano ancora una chance all’eterno rivale? Ecco perché Berlusconi insiste a dire che «non ci sono altre strade», ecco perché ha già registrato il video messaggio, nonostante autorevoli esponenti del partito lo abbiano avvisato che «Napolitano è pronto a fare lui un video messaggio a reti unificate, per denunciare la responsabilità di chi ha aperto la crisi e dimettersi dal Quirinale, se non riuscisse a formare un altro governo».
A un passo da un conflitto istituzionale senza precedenti, a un passo da un tornante politico epocale, nessuno sembra scommettere su un esito del confronto in giunta che scongiuri la crisi. Anche perché non c’è più una regia della vicenda, sfuggita di mano ai protagonisti coinvolti nella vertenza.
Così le ultime offerte avanzate a Berlusconi sono parse irricevibili: come l’idea – circolata ieri – che il Cavaliere si dovrebbe dimettere prima della riunione della giunta, in modo da consentire al Colle di predisporre la grazia immediata, che però non cancellerebbe la pena dell’interdizione. In pratica il leader del Pdl dovrebbe abdicare, ottenendo in compenso la restituzione del passaporto…
La verità è che nulla è cambiato dal giorno della sentenza della Cassazione. Lo s’intuisce dall’umore di Gianni Letta, sfiduciato e doppiamente dispiaciuto per Berlusconi e per il premier suo nipote.
Lo si avverte dal modo in cui Confalonieri osserva silente il piano inclinato del gioco politico, dove il silenzio non è di assenso per ciò che il Cavaliere si appresta a fare, ma è carico di umana comprensione verso l’amico di una vita.
Lo si coglie nei sospiri di Marina, che spera ancora in una soluzione positiva ma è convinta che alla fine prevarrà nel padre la componente psicologica. Lo si respira tra quanti vivono accanto all’ex premier, e da un mese ne osservano gli stati d’animo, le nottate insonni passate nel parco con il cane Dudù.
«Non si può stare a letto con il nemico», sostiene Berlusconi. Il punto è che nel Pd Berlusconi non viene più visto come «il nemico», cioè come il competitore, avversario alle prossime elezioni. Lo sanno anche nel Pdl, dove si discute di tutto ma non si dice ciò che non può esser detto: il Cavaliere è fuori gioco, e prima o poi bisognerà fare i conti con la novità. Le piccole beghe di potere alla corte di Versailles, la lotta per le stanze nella nuova sede, sono l’anticipazione di ciò che sarà e che non è ancora.
Per esempio, come farebbe Berlusconi a gestire il ruolo di capo della coalizione in campagna elettorale, se persino per un’intervista dovrebbe chiedere l’autorizzazione al magistrato?
Eppure c’è un motivo se il Cavaliere non demorde, se resta l’alfa e l’omega per un partito che sta per cambiare. Perché il passaggio a Forza Italia è pronto, sarà a immagine e somiglianza del «presidente», e non prevederà l’azzeramento della squadra, visto che al fianco del leader verrà riproposta la stessa struttura apicale del Pdl, con Alfano alla guida di un comitato ristretto di cui faranno parte i coordinatori Verdini e Bondi, i capigruppo Schifani e Brunetta, e il tesoriere Crimi. Somiglia tanto a una macchina elettorale, che non si sa se e quando potrà andare in pista. Di sicuro non sarà più pilotata da Berlusconi.
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