Società

BERLUSCONI
A PROFILO BASSO

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Al governo italiano vengono, in queste ore, molte richieste di assumere una posizione più chiara sulla crisi irachena. Il governo deve dire, questo quel che in sostanza si chiede, se sta con l’Onu o con l’America.

Si vuole sapere cioè se, nel caso in cui gli angloamericani non otterranno il via libera del Palazzo di Vetro a un ultimatum a Saddam Hussein e attaccheranno egualmente, l’Italia parteciperà a questa coalizione. Anche l’opposizione non ha risposto o ha risposto in modo fatuo alla domanda inversa, se l’Ulivo appoggerebbe una guerra legittimata dall’Onu.

In realtà la posizione su cui è attestata l’Italia è chiara in sé: l’Onu deve disarmare Saddam, le ispezioni non possono durare in eterno, la guerra è l’ultima soluzione, ma non è esclusa in linea di principio. Questa attitudine corrisponde all’interesse di evitare lo sfascio di tutte le istituzioni sovranazionali: Onu, Alleanza Atlantica e Unione europea.

Quando Francia e Germania hanno cercato di precostituire una posizione europea pregiudizialmente contraria all’iniziativa americana, l’Italia ha reagito firmando il documento degli Otto. Ora insiste nel puntare a una soluzione in sede Onu, il che può essere considerato un escamotage per non assumere responsabilità, per non urtare l’opinione pubblica su una posizione impopolare.

Può darsi che all’attuale rifiuto di schierarsi preventivamante, prima che si concluda la discussione a New York, si sia arrivati per la somma algebrica di ragioni, suggestioni e paure sbagliate. Il che non significa automaticamente che sia sbagliata anche la risultante.

Non dare per scontato il fallimento del tentativo angloamericano in sede Onu è un atto di intelligenza politica. Sarebbe solo furbizia se non fosse stato accompagnato dall’esplicita dichiarazione che “non lasceremo gli americani da soli”. Sarebbe anche peggio se continuasse anche dopo la conclusione, in un modo o nell’altro, della conta nel Consiglio di sicurezza.

Oggi, però, finché il tentativo di ottenere un via libera in quella sede è in corso, un paese che non siede in quel consesso e che fra tre mesi dovrà presiedere un’Unione europea lacerata, ha l’interesse nazionale a non farsi trascinare anzitempo sul terreno delle decisioni radicali.

L’esigenza di tenere aperto qualche canale per riaprire il dialogo in Occidente giustifica un po’ di prudenza, di rinuncia al protagonismo, purché non diventi reticenza.

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