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Berlusconi chiede in cambio indulto o senatore a vita

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ROMA (WSI) – La paura è sempre la stessa, essere condannato, venir interdetto o, nella peggiore delle ipotesi, finire in cella. Mentre tratta, da potente leader del Pdl, per il nuovo governo, Berlusconi vive il suo atavico incubo, la catastrofe per via giudiziaria. I nomi sono quelli di sempre, Mediaset, Ruby, Unipol, De Gregorio, i processi in pista tra Milano e Napoli. I suoi avvocati sono preoccupati quanto lui. Si confessano. Il gioco si fa scoperto. Ma sarebbe sbagliato pensare che sono solo alla ricerca, pure stavolta, del salvacondotto miracoloso, della super-legge capace di ottenere quello in cui hanno fallito tante norme ad personam, i lodi, i legittimi impedimenti, le Cirami, le Cirielli. Ora la partita diventa molto più “alta”.

La via “legislativo-giudiziaria” per evitare le sentenze e mettere nel nulla anni di inchieste si trasforma in una via “politico-giudiziaria”. Per dirla con Silvio: “È giunto il tempo di chiudere questa partita. Ora ci sono le condizioni per farlo”. Per come la illustrano i corifei del Cavaliere, la strategia si regge su un assunto semplice: nelle ore in cui l’ex premier rende praticabile un governo di salute pubblica, che salva il Paese dal baratro di nuove elezioni, egli non può cadere per via dei suoi processi. In qualsiasi grado di giudizio si trovino, prossimi o lontani dalla sentenza che siano, i dibattimenti devono fermarsi. Perché se andassero avanti, se si arrivasse alla sentenza definitiva, se Berlusconi fosse interdetto dai pubblici uffici, se dovesse fare i conti con la galera (e non cambia la prospettiva dei domiciliari), è ben evidente che il governo Letta prossimo venturo si trasformerebbe d’acchito in un fantasma.

È questo il vero tema della trattativa di governo. Tema segreto, ovviamente. Coinvolge tutti, anche Napolitano, se è vero che proprio da lui Berlusconi si aspetta un passo molto importante, la sua nomina a senatore a vita. Un doppia nomina, in realtà. Nel progetto del Pdl il presidente della Repubblica dovrebbe scegliere Berlusconi, ma anche Romano Prodi, nel segno della grande pacificazione. Una mossa per chiudere, con un colpo solo, una guerra giudiziaria in atto da 20 anni. Il progetto è ambizioso. Svela, al contempo, ben cinque grandi difficoltà. La prima: i processi vicini alla conclusione. La seconda: l’impossibilità di trovare la legge giusta per chiuderli tutti e quattro in un sol colpo. La terza: il nuovo quadro politico con i grillini pronti a seminare la guerra tra Camera e Senato. La quarta: il Pd messo in discussione dai suoi giovani per il patto mortale con Berlusconi. La quinta: la paura che aggressioni come quelle di Franceschini, Fassina, Bindi possano diventare la prassi. Chi, in Parlamento, potrebbe affrontare una legge per mettere una pietra sui processi di Berlusconi?

Questo complica la trattativa sulla giustizia e rischia di diventare un’ipoteca pesante non solo per il prossimo ministro Guardasigilli, ma anche per il Pd che dovrà barcamenarsi per mantenere gli impegni presi con i suoi elettori, una nuova legge anti-corruzione, la prescrizione più lunga, il reato di auto-riciclaggio (l’aveva promesso Letta, proprio a Repubblica, a dicembre). Invece sul tappeto il Pdl ha messo altro. Non sarà epoca di lodi, ma lo spazio per un provvedimento generale a favore dei detenuti e dei condannati, sia esso un’amnistia o un indulto o fortissime misure alternative all’attuale detenzione, questo dev’essere praticabile. E Napolitano – dicono le fonti vicine a Berlusconi – non potrebbe che essere d’accordo visti i suoi tanti interventi contro lo svilimento della vita carceraria. Vi è di più: un governo dal tratto istituzionale, che nasce sotto l’evidente usbergo del capo dello Stato, può anche permettersi una misura ampia, perché scritta per chiudere definitivamente una stagione politica, quella della “malagiustizia” (Ferrara, Il foglio).

I sogni, però, devono fare sempre i conti con la realtà. Quella di Berlusconi non è affatto rosea. Un processo chiuso in primo grado, Unipol, con un anno di pena. Potrebbe prescriversi. E sia. Un secondo processo, Mediaset, prossimo alla conclusione dell’appello. Rischio conferma della sentenza di 4 anni per frode fiscale e 5 d’interdizione. Cassazione stimata entro primavera 2014, prima della prescrizione. Ruby, la peggiore delle grane. Proprio Niccolò Ghedini, avvocato e consigliere giuridico stretto di Berlusconi, si aspetta una condanna. Infine Napoli, la compravendita per De Gregorio, il grande punto interrogativo. Può saltare tutto questo? Possono i magistrati farsi carico della nuova stagione politica? Possono “rispettare” Berlusconi e mandarlo sistematicamente assolto? I fatti, quelli che contano: il 18 maggio la Cassazione decide sull’istanza di legittimo sospetto avanzata da Ghedini e Piero Longo. Nel palazzaccio la danno per bocciata al 98%, ma essa rappresenta la prima cartina al tornasole. Se fosse approvata, la partita per Berlusconi si trasferirebbe a Brescia, cioè sarebbe chiusa. Prim’ancora ecco altre due scadenze. Il 6 maggio il Csm sceglie il nuovo presidente della Suprema corte: Giorgio Santacroce, alta toga sponsorizzata dal centrodestra e dalla moderata Unicost, e che una volta andò a cena nello studio di Cesare Previti, o Luigi Rovelli, il candidato della sinistra? Berlusconi ha detto della Cassazione che è “il suo giudice a Berlino”. Infine la Consulta. All’inizio di maggio la decisione su Mediaset e un farlocco legittimo impedimento. Un consiglio dei ministri piazzato di lunedì, era il primo marzo 2010, per approvare “d’urgenza” un ddl anti-corruzione che poi aspetterà altri due mesi per entrare in Parlamento, e per far saltare un’udienza del processo. I berlusconiani sperano che una decisione favorevole faccia saltare l’intero processo. Alla Corte, martedì, hanno rinviato solo per evitare che uno scontato no potesse destabilizzare l’avvio del governo. La strada, come si vede, è stretta. Il Pdl agogna la via della grande pacificazione giudiziaria, ma tanti e tali sono i burroni da renderla perigliosa.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Repubblica – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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