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Berlusconi pensa all’ennesimo partito, stavolta da “antipolitica”

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Silvio Berlusconi se ne sta facendo una ragione. E un fattore determinante è rappresentato dal referendum elettorale. Che in primavera potrebbe scardinare il sistema di potere su cui è stato costruito negli ultimi cinque anni il centrodestra. Anche perché il suo principale alleato, la Lega, non può accettare una riforma elettorale che danneggi i piccoli e medi partiti.

E cosl sulla scrivania del Cavaliere è improvvisamente comparso un dossier che aveva ostentatamente archiviato. Una cartellina dal titolo asettico: “Campagna elettorale”. La procedura è già stata messa in moto. Gli studi delle agenzie di sondaggi e i focus group hanno già prodotto i primi risultati. Con una parola chiave che ritorna come un refrain in ogni documento: “Antipolitica”.

II premier sa che l’umore del Paese sembra replicare quello del ’94. Le firme raccolte per cancellare il “Porcellum” ne sono un segnale. Ma anche il manifesto di Diego Della Valle – per il presidente del consiglio – costituisce un chiaro indicatore di tendenza. Come 17 anni fa, allora, vuole provare a cavalcare la medesima onda per uscire dall’angolo. Usare l”‘antipolitica” e in qualche modo ritornare a Forza Italia. Un nuovo “predellino” insomma che in un attimo dissolva la creatura partorita solo tre anni fa: ossia il Popolo delle libertà.

«Ci vorrebbe un movimento leggero, senza strutture. Qualcosa che assomigli ai Tea party americani – ragiona il Cavaliere con i suoi fedelissimi -. Un soggetto capace di cogliere il vento». Basti pensare agli ultimi cartelloni 3×6 piazzati nelle strade di tutto il Paese: “Dai FORZA all’ITALIA, iscriviti al Pdl”. Con le parole “Forza Italia” in bella vista.

Per il capo del governo, dunque, le liturgie partitiche – a cominciare dalla convention degli eletti che si è svolta sabato scorso a Milano – sembrano un bagaglio troppo pesante. Gli organismi dirigenti, le tessere, le sezioni. Un assetto che poco si attaglia alla bufera che soffia contro i partiti. Anche perché il Cavaliere è consapevole della premessa da cui partono tutte le ricerche demoscopiche: la sua immagine è profondamente appannata. E per ricostruirla “serve un cambio di marcia, una rivoluzione. O perdiamo tutto”.

Non solo. Nel week-end – prima del pranzo di ieri sul lago Maggiore con i figli – il capo del governo ha tracciato con il gruppo ristretto dei suoi collaboratori la possibile “election strategy”. La Corte costituzionale dovrebbe decidere sulla costituzionalità del referendum intorno al 20 gennaio. A quel punto ogni finestra può diventare utile per una crisi di governo. “Anche perché i peones, i Responsabili – è il suo ragionamento – sanno che possono tornare in parlamento solo con il Porcellum. Qualsiasi altra legge elettorale li taglierà fuori”.

Non a caso dentro il Pdl le idee sulla riforma elettorale sono piuttosto confuse. L’ipotesi di costruire un sistema sulla base dei collegi del Senato e con “mini-liste” di tre candidati non convince tutto il partito. E men che meno la Lega. «Se vogliono danneggiarci con la riforma elettorale – ha avvertito Roberto Maroni – noi ci difenderemo». Ed è per questo che il ministro degli Interni minaccia il ricorso al voto referendario.

Il Carroccio vive il confronto sul Porcellum come un’«estorsione» e preferisce di gran lunga il voto anticipato ad aprile. Una “estorsione” che sta condizionando anche lo scontro interno incrinando la tregua che lo stesso Maroni e Roberto Calderoli aveva siglato in vista della stagione congressuale del Carroccio. Molti, nel partito di Rossi, ricordano il tentativo effettuato da Bettino Craxi nel 1991 di introdurre una soglia di sbarramento (del 5 per cento) in tutte le circoscrizioni proprio per tagliare le formazioni minori. E temono che quel tentativo possa rinnovarsi nel campo del Pdl. Per di più le critiche del Quirinale alla “Padania” sono state lette dallo stato maggiore lumbard proprio come una via libera ad attaccare la Lega».

«Le parole di Napolitano – si è sfogato il Senatur – sono l’ultimo tentativo di dar vita a un governo tecnico. Colpiscono noi per colpire Silvio». Un sospetto che coltiva anche il premier. Non a caso da giorni ripete ossessivamente: «Dobbiamo resistere fino a Natale, poi si vedrà. Da dicembre in poi, sono possibili le elezioni e un altro governo non ha alcuna chance di nascere». E a quel punto l’inquilino di Palazzo Chigi proverà a giocare la carta dell'”antipolitica”.

Una strada però che rischia di provocare una guerra di “secessione” dentro il Pdl. La componente ex democristiana ed ex An, infatti, è già pronta ad alzare le barricate contro il “partito di plastica”. Uomini come Roberto Formigoni, Gianni Alemanno, e Beppe Pisanu sono decisi comunque a lavorare per un “Nuovo centro”, una sorta di Ppe, con l’Udc di Casini e la base cattolica che attraverso il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, ha fatto sentire la sua voce. «Se vuole – diceva nei giorni scorsi il governatore lombardo – Silvio può farsi una sua lista. Ma noi non possiamo più starci».

E del resto, anche il segretario Pdl, Angelino Alfano, spinge per dar vita ad un Ppe italiano fondendo il suo partito con l’Udc di Casini. «Solo così del resto – dicono esplicitamente gli avversari di Alfano nel Pdl – può aspirare a fare il candidato premier». Ma anche il “delfino” del Cavaliere sa che solo se si vota nella prossima primavera può convincere il leader centrista ad accettare un’alleanza prospettandogli la pole position per il Quirinale nel 2013. Una circostanza di cui è consapevole anche Berlusconi: «Se non glielo diciamo subito, Pier preferirà andare a sinistra». Ma, è il suo interrogativo, «davvero può essere conveniente costruire un’alleanza che non posso controllare al 100%?». Per questo il progetto di una lista “leggera” che assecondi “l’antipolitica” sta avendola meglio a palazzo Grazioli.

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