Società

BILDERBERG 2005:
IL MONDO
NELLE LORO MANI

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(WSI) – Dell’incontro segreto che si tiene ogni anno a Rottach-Egern, in Germania, tra i potenti del mondo non c’e’ traccia negli organi d’informazione di massa. Ma le decisioni del Bilderberg Group (questo il nome dell’associazione) sono tali da influenzare i destini dell’intero pianeta.

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Il meeting è sempre rimasto avvolto nel massimo riserbo, con tutti i partecipanti vincolati alla più stretta omertà. Ma ora, grazie all’intraprendenza del giornalista Daniel Estulin, l’incontro del 2005 ha avuto un esito imprevisto.

Le discussioni tenutesi tra il 5 e l’8 maggio scorso da politici, uomini d’affari, finanzieri, professori universitari e giornalisti (pochi ‘eletti’) sono, infatti, divenute di dominio pubblico. I principali temi dibattuti sono stati: Europa, Iraq, Iran, proliferazione nucleare, Asia, Russia, terrorsimo, relazioni internazionali e governo mondiale.

Nel seguente articolo vengono riportate le principali considerazioni emerse da questo forum “parallelo” e segreto rispetto a quello tanto pubblicizzato del G-8 che comincia oggi.

TASSA ONU

Dopo tre anni di tensioni tra i membri europei da una parte, statunitensi e britannici dall’altra sulla questione irachena, il clima del meeting questa volta e’ stato decisamente piu’ sereno. Tanto sereno che tutti sono stati d’accordo sulla necessita’ di incrementare il ruolo dell’ONU nella risoluzione dei conflitti internazionali. Anzi, si e’ andati oltre, arrivando a prospettare l’imposizione di una tassa ONU da raccogliere in tutto il mondo. La tassa dovrebbe consistere in un’accisa applicata a livello mondiale sui quantitivi di greggio estratti.

Le probabili reazioni negative delle popolazioni mondiali all’introduzione di un nuovo “dazio” sarebbero anche facili da superare. Applicando l’accisa direttamente alla fonte (ovvero all’estrazione), il consumatore finale quasi non se ne accorgerebbe. La nuova tassa ONU costituirebbe, poi, anche il primo passo di quell’“armonizzazione fiscale” tanto vagheggiata in questo genere di incontri. Si vorrebbe spingere al rialzo la pressione fiscale di quei paesi (come gli Usa) che applicano agevolazioni fiscali per attrarre investimenti stranieri, in modo da restringere il divario con nazioni come la Svezia (58% di prelievo fiscale), attualmente non competitive.

ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE

Altro argomento dibattuto e’ stato quello della sempre maggiore importanza delle ONG (organizzazioni non governative). In particolare, i partecipanti hanno dibattuto sulla possibilita’ di inserire all’interno degli organi governativi che si occupano di tematiche ambientali (inquinamento atmosferico, oceani, biodiversita’) attivisti provenienti da tali organizzazioni.

Si tratterebbe della prima volta che nell’occidente contemporaneo individui non eletti si auto-nominerebbero a responsabilita’ di governo. Questo invito alla societa’ civile a partecipare direttamente al governo di interessi ambientali mondiali sarebbe “spacciato” come un allargamento dell’esperienza democratica. Ma lo scopo vagheggiato e’ esattamente l’opposto.

Attraverso l’incremento del potere delle ONG, i membri del Bilderberg Group fantasticano sulla possibilta’ di utilizzare tali organizzazioni come elementi di pressione (a livello locale, nazionale, mondiale) per giustificare l’ipotesi di tassazione sopra descritta. Il risultato finale? Si verrebbe a creare un Organo Sovranazionale dell’Onu per l’applicazione dei trattati aventi ad oggetto materie ambientali.

Tale organo sarebbe in mano ad un corpo di ambientalisti, scelti, all’interno delle “ONG fedeli”, dai delegati dell’assemblea generale a loro volta nominati dal presidente degli Stati Uniti. Ovviamente, quest’ultimo sarebbe controllato dai membri dell’oscura comunita’ Rockefeller-CFR-Bilderberg.

Finora, queste sono state solo parole al vento, ma se si materializzassero il mondo si troverebbe sotto il controllo di una “burocrazia mondiale”, sotto la diretta autorita’ di un manipolo di individui che tiranneggerebbero per mezzo di migliaia di membri di ONG che credono ciecamente nel sistema. Oltre a questi scenari di fantapolitica, si sono trattate materie di piu’ stretta attualita’.

ELEZIONI IN GRAN BRETAGNA E FUTURO DELL’UE.

I partecipanti al forum hanno celebrato il risultato che desideravano. La permanenza di Tony Blair al numero 10 di Downing Street, con una ridotta maggioranza parlamentare, dopo aver pagato lo scotto del suo sopporto agli Usa nella guerra in Iraq. Stando ai membri del forum, una volta appianate definitivamente le divergenze irachene con Chirac, Blair appare il leader ideale per continuare il sentiero della liberalizzazione dell’economia europea e sulla sua integrazione politica.

L’ostacolo maggiore e’ rappresentato dai suoi concittadini, che sara’ difficile convincere ad unirsi alla locomotiva franco-tedesca che perde sempre piu’ colpi, mentre la Gran Bretagna continua ad evidenziare una robusta crescita economica (l’incontro e’ avvenuto prima della crisi innescata dal no di Olanda e Francia alla Costituzione Europea).

ENERGIA

Il settore petrolifero era anhe ben rappresentato al meeting. Si sono infatti ritrovati John Browne e D. Sutherland, rispettivamente direttore generale e presidente di BP, John Kerr, direttore di Royal Dutch Shell, e Jeroen van der Veer, presidente del Committee of Managing Directors of Royal Dutch Shell, Peter.

Durante le discussioni, un partecipante statunitense ha espresso tutta la sua preoccupazione per la continua ascesa dei prezzi del greggio. Un operatore del settore petrolifero ha ricordato come non vi puo’ essere crescita senza energia e che, stando a tutti gli indicatori, le risorse mondiali di greggio si stanno esaurendo molto piu’ rapidamente di quanto i leader mondiali avevano previsto.

Gli esperti presenti all’incontro hanno stimato che, all’attuale tasso di sviluppo economico e di crescita della popolazione mondiale, le quantita’ di greggio disponibili saranno al massimo sufficienti per i prossimi 35 anni. Addirittura, se si considera che i tassi di crescita dei due giganti asiatici potrebbero ulteriormente aumentare, le previsioni non superano i 20 anni. E senza petrolio (o un’altra fonte di energia) sarebbe la fine del nostro sistema economico.

Al meeting ci si attende per i prossimi due anni una forte contrazione dell’economia mondiale. In una situazione di recessione, o addirittura di depressione, la popolazione sarebbe costretta a ridurre drasticamente le proprie abitudini di consumo. Si verrebbe, cosi’, a prolungare le disponibilita’ di petrolio per i potenti della terra che nel frattempo dovranno trovare una soluzione.

A rendere ancora piu’ grave la situazione, la constatazione, da parte di un membro del governo statunitense, che l’idrogeno al momento attuale non e’ in grado di salvare il mondo da questa imminente carenza energetica.

Al meeting si e’ anche discusso delle conseguenze di due possibili ed opposti scenari nel breve periodo: prezzo di $25 o di $120 al barile. Nel primo caso, Allan E. Hubbard, segretario del presidente del Dipartimento statunitense di Politica Economica, ha sottolineato come il grande pubblico non si renda conto di come un livello cosi’ basso del greggio potrebbe determinare l’esplosione della bolla sul debito. Un prezzo eccessivamente economico del petrolio, sostiene, rallenta la crescita in quanto deprime i prezzi delle commodities e riduce la liquidita’ presente sui mercati mondiali.

Nel caso di un’accelerazione a quota $120, si e’ evidenziato come la Cina sarebbe il paese a trarre i maggiori vantaggi. I maggiori costi energetici del paese sarebbero facilmente scaricabili sui prezzi export. Il conto, in sostanza, sarebbe pagato dai consumatori occidentali.

Per quanto riguarda la Russia, un banchiere europeo ha ossevato come il paese potrebbe giocare un ruolo importante in un’ulteriore svalutazione del dollaro se iniziasse a vendere petrolio in euro, anziche’ in dollari. Se cio’ si verificasse, le banche centrali europee si troverebbero costrette a detenere maggiori quantita’ di riserve denominate in euro, determinando cosi’ un deprezzamento del biglietto verde.

AUNA TELECOMUNICACIONES

All’incontro si e’ anche parlato di affari e la protagonista assoluta e’ stata la societa’ di telecomunicazioni spagnola Auna. Un grande quantita’ di credito a condizioni molto favorevoli e bassi tassi di interesse hanno reso il gigante telecom un attraente target per le societa’ di private equity. Le valutazioni oscillano in un range compreso tra i 2.6 ed i 10 miliardi di euro (col debito).

Alcuni dei possibili protagonosti dell’operazione si trovavano ovviamente al meeting. Kohlberg Kravis Roberts & Co, rappresentata dal suo fondatore Henry Kravis, appare in pole position per la conquista della societa’ spagnola. Se non riuscisse comunque a formare una cordata adeguata, il bid vincente potrebbe lanciarlo Goldman Sachs.

INDONESIA-MALAYSIA

Durante un cocktail pomeridiano, si e’ accesa una vivace discussione tra i partecipanti americani ed europei riguardo al confronto politico/militare tra Indonesia e Malaysia per il controllo della regione petrolifera dello Sulawesi Sea. Nel caso di un conflitto, tutti si sono trovati d’accordo nel sostenere di dover porre un presidio di “Peacekeepers” dell’Onu nella zona su cui entrambi i paesi rivendicano diritti territoriali. In questo modo, il controllo ultimo sulle risorse petrolifere del territorio passerebbero in mano a molti dei membri del meeting.

SVILUPPO DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

I partecipanti europei ed americani si sono trovati d’accordo sul fatto che la priorita’ principale per le economie dei paesi sviluppati sia quella di “aggredire” i mercati dei paesi piu’ poveri. Questo implica dare nuovo impulso al sistema di scambi commerciali promosso dalla World Trade Organization. Ed in quest’ottica va inquadrata la nomina del francese Pascal Lamy come nuovo presidente del WTO.

Lamy, grande sostenitore della creazione di un super stato europeo, appare la persona giusta per mediare tra le ventate protezionistiche che interessano paesi come la Francia e la Germania, ed i paesi del Terzo Mondo, che chiedono la fine dei sussidi all’agricoltura in Europa e Stati Uniti.

Il progetto di liberalizzazione commerciale portato avanti dal WTO si fonda sulla necessita’ di spingere i paesi poveri ad entrare nel mercato globale con un duplice ruolo: produttori di beni di basso costo per i mercati delle nazioni ricche e contemporanei consumatori di prodotti che richiedono il superiore know-how tecnologico dei paesi occidentali.

CINA, SCENARI FUTURI

Legata ai temi degli sviluppi del commercio globale, non poteva mancare la discussione sull’argomento del momento: ovvero la Cina. Le domande sono state quelle che si ascoltano di solito: la Cina sta realmente abusando del suo vantaggio competitivo sui prezzi o e’ il capro espiatorio degli Stati Uniti e dell’Europa? Una guerra commerciale e’ all’orizzonte? Dovrebbe la Cina rivalutare lo yuan e, se si’, in che misura?

Tutti sono stati concordi nell’affermare che ormai il gigante asiatico e’ una delle principali potenze economiche del mondo, le cui azioni hanno ripercussioni sull’intera economia mondiale. Michael A. Ledeen, dell’American Enterprise Institute, ha sostenuto che se la Cina non rivalutera’ lo yuan, l’intero sistema del commercio mondiale subirebbe un colpo mortale. Alcuni dei partecipanti hanno sottolineato che l’attuale situazione puo’ essere pericolosa anche per l’economia cinese stessa, a seguito dell’immissione di un’eccessiva liquidita’.

Elena Nemirovskaya, membro fondatore della Moscow School of Political Studies, ha chiesto che cosa potrebbe accadere se lo yuan fosse libero di fluttuare liberamente. Un economista ha risposto che potrebbe indurre serie conseguenze sugli interi mercati finanziari mondiali. Gran parte delle riserve monetarie della Cina sono costituite da US Treasury bills (titoli di stato americani a breve scadenza). Un apprezzamento dello yuan dovrebbe portare ad un deprezzamento delle riserve cinesi denominate in dollari.

Secondo quanto affermato da uno dei presenti, questa eventualita’ spingerebbe la Federal Reserve ad alzare i tassi d’interesse, rischiando di far esplodere la bolla immobiliare sul mercato staunitense. Per prevenire questo rischio, al meeting si e’ rimarcata la necessita’ che il Fondo Monetario Internazionale giochi un ruolo attivo in questa transizione della valuta cinese da cambio fisso ad uno libero.

Alla domanda di un italiano se vi sia davvero il rischio di una guerra commerciale, un economista svedese ha risposto che le probabilita’ sono bassissime. La Cina e’ ormai completamente incorporata all’interno del sistema dell’economia di mercato e le tanto decantate battaglie commerciali non solo altro che stratagemmi per mandare a casa, nei paesi occidentali, gli elettori con un bel sorriso.

Alla conferenza non potevano non costituire motivo di dibattito i movimenti cinesi nella zona del Mekong. Negli ultimi anni, la Cina ha investito in maniera decisa in infrastrutture che hanno sensibilmente migliorato i collegamenti tra la provincia cinese dello Yunan ed i vari paesi del golfo del Mekong (Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam).

La mossa di Pechino mostra come il governo cinese sia attento alla sua sempre maggiore dipendenza energetica dall’estero. Ormai il 40% dell’energia utilizzata dall’economia cinese viene importata. Di questa, il 32%, passa attraverso lo Stretto di Malacca. Un braccio di mare troppo importante, perche’ la Cina non ne voglia detenere un controllo esclusivo.

IRAN

Un partecipante francese ha sollevato la questione se il governo statunitense stia effettivamente preparando per un’invasione dell’Iran. Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations (CFR), considera una guerra contro l’Iran un’eventualita’ completamente irrealistica. Molteplici sono le ragioni contrarie a questa decisione.

Dal lato pratico, gli Stati Uniti sono attualmente gia’ impegnati sul fronte afghano e su quello iracheno (dove 150mila soldati sono duramente impegnati dalla guerriglia). Oggi l’America non sembra in grado di possedere le risorse umane e materiali (miliardi di dollari) che sarebbero necessarie ad attaccare un nemico organizzato come l’Iran.

Anche dal punto di vista politico, la mossa risulterebbe controproducente. Sul fronte interno al paese, non si farebbe altro che coalizzare tutti gli iraniani attorno al proprio governo, stroncando cosi’ la voce all’opposizione interna. A livello internazionale, crescerebbero gli attacchi terroristici in Iraq, Afghanistan, Arabia Saudita e si verrebbe ad alienare ulteriore consenso internazionale nei confronti degli Usa.

Pertanto, Haass si attende che se l’Iran non sospendera’ la costruzione del suo impianto nucleare, agli Stati Uniti non resta altro che accettarlo come un dato di fatto (cosa peraltro gia’ avvenuta a suo tempo con Pakistan ed India). Eppure vi sono molti elementi che fanno temere che gli Stati Uniti stiano seriamente ponderando l’opzione militare.

In primo luogo la presenza al Bilderberg meeting di James L. Jones, generale a capo del Supreme Allied Commander Europe, e di John M. Keane, generale in pensione dell’US Army, fa sospettare che vi siano discussioni e preparativi in corso. Alcuni voci dall’interno dell’incontro parlano di possibili attacchi in collaborazione con le forze israeliane e c’e’ chi parla addirittura di un’operazione condotta con gli alleati della NATO. Si e’ anche scommesso sulle possibili date dell’operazione militare: agosto o nel tardo autunno di quest’anno.

RISULTATI DELLA POLITICA ANTI-TERRORISMO.

Partendo proprio dalla possibile invasione dell’Iran , si e’ infiammata la discussione intorno al fatto se il mondo sia più sicuro a distanza di quattro anni dagli attacchi dell’11 settembre. Un olandese, in particolare, ha rimarcato come vi siano pochi dubbi che la politica perseguita dal presidente Bush, in particolare nel Medio Oriente, non abbia fatto altro che rafforzare il terrorismo internazionale.

Un danese ha sottolineato, inoltre, come l’atteggiamento americano in Iraq (un caso su tutti quello di Fallujah), non abbia ottenuto altro effetto se non quello di alienarsi il supporto di gran parte degli stati arabi moderati. Il risultato concreto di Bush: un aumento degli attacchi terroristici non solo in Iraq, ma in tutto il continente asiatico ed africano.

Haass ha sottolineato come l’amministrazione Bush abbia sopravvalutato la sua capacità di andare per il mondo a rovesciare regimi potenzialmente ostili. Soprattutto l’errore più grande è stato quello di voler conseguire questo risultato non attendendo i tempi lunghi della diplomazia, ma ricorrendo alla strada della guerra “preventiva”. Purtroppo, quest’ultima non si è dimostrata tanto rapida come forse ci si attendeva.

IRAN-RUSSIA-CINA

Uno dei generali statunitensi presenti al meeting ha messo in evidenza come l’alleanza Cina-Iran-Russia sta cambiando la situazione geopolitica dell’area. Il riavvicinamento tra Russia e Cina è stato uno dei temi centrali del meeting. Dalla lettura di un rapporto segreto del governo statunitense è emerso come il governo cinese abbia speso miliardi di dollari per acquistare le ultime più sofisticate armi di fabbricazione russa.

Ma al meeting si è anche osservato come, escludendo anche la vendita di armi, lo scambio di beni tra i due ex-nemici sia cresciuto del 100% dall’inizio della presidenza Bush. Anatoliy Sharansky , membro del servizio segreto israeliano, giudica l’asse Mosca-Pechino-Teheran come la risposta che rischia di scalzare dall’area mediorientale il controllo finora detenuto dall’alleanza Usa-Israele-Turchia.

NEO-CONSERVATIVE AGENDA

All’interno del meeting hanno fatto la loro allegra presenza anche gli esponenti della cosiddetta corrente “neo-conservatrice”. La loro politica si riassume nel fatto che la sicurezza di Israele e’ legata a doppio filo a quella degli Stati Uniti e che questo elemento dovrebbe essere centrale in tutte le decisioni statunitensi di politica estera.

Tra gli invitati spiccava Richard Perle, presunta spia israeliana, che ha giocato un ruolo chiave nello spingere gli Usa in guerra contro l’Iraq. Si rivede dopo che il 27 marzo 2003 fu licenziato per aver fornito consigli a Goldman Sachs International su come trarre profitti dalla guerra nel paese mediorientale.

Dal lato economico, il pensiero neoconservative e’ rappresentato da Michael A. Ledeen. Ledeen lavora all’American Enterprise Institute e nel Joint Center for Regulatory Studies (JCRS). Entrambe queste due associazioni spingono per un’approfondita analisi dei costi/benefici delle politiche pubbliche ed in ultima istanza a favore di forti azioni di deregulation.