Negli ultimi 12 mesi il Bitcoin è arrivato decuplicare il suo valore, con un massimo storico che, al 19 marzo, risulta superiore ai 61mila dollari. Basta la spinta ai pagamenti digitali impressa dalla pandemia, assieme con le politiche monetarie espansive, a giustificare questo strabiliante volo nella stratosfera?
Come sempre nel caso delle criptovalute le analisi sono influenzate dalle incerte prospettive sul peso che il Bitcoin saprà ritagliarsi nel mondo dei pagamenti e degli investimenti “mainstream”. Diverse banche stanno lavorando a integrare il Bitcoin nella propria offerta, e Morgan Stanley sarà il primo fra i grossi nomi Usa a permettere parte della clientela ad accedere a fondi basati sulla criptovaluta per eccellenza.
L’esperienza osservata in occasione della precedente bolla del Bitcoin datata 2017 sembra deporre a favore della cautela. Anche allora varie istituzioni finanziarie, fra le quali Goldman Sachs, avevano avviato progetti per integrare su questi asset digitali nel proprio business. Ma il rapido crollo delle criptovaleute a inizio 2018 aveva di fatto bloccato tutto. Fino all’anno scorso.
I cripto-entusiasti sono convinti che il Bitcoin disponga delle carte necessarie per potersi sostituire alle monete fiduciarie emesse dalle banche centrali e in un futuro non troppo lontano. La blockchain, in questo scenario, andrebbe a diventare la tecnologia d’elezione per il trasferimento del valore nel mondo, soppiantando i sistemi di pagamenti tradizionali.
Bitcoin, un rally andato troppo oltre?
Secondo ZeroHedge, testata tutt’altro che vicina alla finanza tradizionale, questa prospettiva sarebbe troppo ottimista – così come l’immenso rally sperimentato nelle ultime settimane dal Bitcoin.
“Si trascura il fatto che l’aristocrazia finanziaria di oggi non cederà il suo diritto divino di creare denaro dal nulla e non svanirà docilmente”, scrive ZeroHedge, “e quando finalmente contrattaccherà, avrà delle armi potenti in mano”. Le istituzioni potrebbero arrivare a limitare l’uso delle criptovalute facendo leva sul diritto.
Oppure, com’è evidente dai progetti in essere in Cina, nell’Ue e in molte altre economie, potrebbero essere lanciate valute digitali “di Stato” in grado di garantire benefici funzionali analoghi a quelle delle criptovalute – ma con il sigillo di sicurezza dato dalla banca centrale. In particolare lo yuan digitale è, fra i progetti di questo tipo, quello che ha raggiunto lo stadio più avanzato: “La sperimentazione nel mondo reale è già in corso nell’economia più grande al mondo”. In India invece, aveva riportato Reuters, sarà discussa entro l’anno una legge per vietare anche il mero possesso di criptovalute.
Sono esempi che dimostrano come le istituzioni difficilmente staranno alla finestra qualora le forme di pagamento non tracciate dovessero minacciare la centralità della moneta “pubblica”. Quella fra criptovalute e monete tradizionali non è, come ogni lotta fra privato e pubblico, una lotta ad armi pari.