Il copione che si sta svolgendo in Argentina in queste settimane somiglia molto a quello già visto in Venezuela: l’inflazione galoppante sta accrescendo la popolarità del Bitcoin, una moneta che, pur nella sua grande volatilità funge da riserva di valore a dispetto del peso argentino, il cui valore è in pericolosa discesa. Il tasso d’inflazione annuo atteso dagli economisti per il mese di marzo è superiore al 50%, mentre la variazione mensile dovrebbe attestarsi al 4,05%. Nel frattempo la banca centrale dell’Argentina ha tentato di contenere la vampata dei prezzi portando i tassi a al 67%, dopo una prima parte dell’anno in cui era stato avviato un percorso di riduzione del costo del denaro.
Sempre a marzo il volume dei Bitcoin scambiati in Argentina, ha toccato nuovi massimi storici, accelerando un trend crescente osservabile sin dalla fine del 2017. (grafico in basso, fonte LocalBitcoins/coin.dance).
Anche se i rispettivi tassi d’inflazione non sono minimamente paragonabili, anche in Venezuela l’elevata inflazione ha favorito la diffusione del Bitcoin come moneta di scambio. Come già riportato, gli scambi tra Bitcoin e bolivar venezuelani hanno superato i 6 milioni di euro, oltre il doppio rispetto all’ottobre del 2018.
Per quanto riguarda l’Argentina, l’interesse per la criptovaluta è testimoniato anche dal fatto che già 37 città del Paese hanno iniziato ad accettare il Bitcoin per il pagamento dei servizi di trasporto pubblico. Nonostante l’interesse del presidente argentino Macri nei confronti della blockchain, testimoniato dalla partnership stretta con Binance Labs un incubatore legato a questa tecnologia, il crescente utilizzo del Bitcoin in concomitanza con l’elevata inflazione non può non essere visto come un segnale di sfiducia sulle capacità risolutive della banca centrale e del governo.